Design Kit - Inspiration and referencesNel paese del Design Italiano, il designer è un designer o un architetto?

Questa è una semplice frase che non trova ancora una chiara risposta! Nel paese del Design Italiano, il designer, ha o non ha una definizione fiscale e di categoria dedicata? Ci viene da rispondere...

Questa è una semplice frase che non trova ancora una chiara risposta!
Nel paese del Design Italiano, il designer, ha o non ha una definizione fiscale e di categoria dedicata?
Ci viene da rispondere; apparentemente no!
È vero che in Italia il Design è da sempre parte del sapere e dell’ingegno dell’Architetto, ma, di fatto, ormai dal secolo scorso il Design gode anche qui di una certa riconoscibilità e ha assunto un valore progettuale e professionale di un certo rilievo.
Se poi, tentiamo di considerare professionalmente la Laurea breve triennale, il tutto si complica perché il suo posizionamento e appartenenza ad un preciso ordine, categoria, previdenza, ecc., è ancora da definire.

Luca è architetto tutto alla Milanese e Alessandro è un designer di Milano formatosi in Inghilterra.
Luca è rappresentato dall’albo di categotia mentre Alessandro effettivamente da nessuno.
Alessandro un giorno raccontò la sua esperienza e disse: “la cosa che mi sconvolse al mio ritorno dall’Inghilterra tanti anni fa, fu il fatto che mentre cercavo lavoro come designer tutti gli studi di Milano mi esortavano ad aprire la partita Iva, altrimenti non avrei potuto lavorare. In quel momento lo trovai inconcepibile, perché in Gran Bretagna non bisogna aprire una posizione Iva se sei all’inizio di un’attività e non hai dei fatturati pari o superiore 90.000 sterline annue; quindi in UK, ad un giovane designer viene data realmente la possibilità di entrare nel mondo del lavoro attraverso una modalità di ingresso più leggera, con un’attenzione più responsabile verso gli start-up. Un giovane imprenditore quindi avvia la sua carriera di freelance senza dover tenere libri contabili e pagare altri soldi per farsi aiutare da un commercialista.”
Da qui parte un’altra riflessione che ormai è scontata per molti di noi. Alessandro continua il suo racconto: “mi sono reso conto che un giovane designer e imprenditore nostrano, con la volontà di aprire una attività e inserirsi nel mondo del lavoro come libero professionista, deve per forza aprire una partita Iva – decisamente forzato dal sistema Italia – senza nessuna chiara tutela e assistenza, accollandosi inoltre non poche spese nella speranza di un futuro migliore.”
In Italia, solo in questo modo il giovane imprenditore diventa un libero professionista, entrando a far parte di quel simpatico calderone chiamato “il mondo delle partite Iva”.

Al di là del sistema fiscale Italiano che per molti aspetti è criticabile – soprattutto adesso, in questo preciso periodo storico – vogliamo metter in luce un’altra situazione abbastanza surreale che si ripresenta ogni qual volta i commercialisti devono produrre per conto dei designer lo studio di settore. Ormai da qualche anno, il designer è sottoposto a continue ridefinizioni della propria professione. Con l’intento di trovare il corrispondente codice di attività professionale riguardo alle reali attività svolte ci s’imbatte in definizioni un po’ forvianti. Il paradosso è che, nella patria del Design Italiano, il designer non ha una voce specifica che lo rappresenta e definisce – mentre l’architetto si – e quindi viene definito con un codice che spesso fa riferimento ad un artigiano o ad un commerciante o ancora ad un professionista generico. Menzioniamo volutamente l’architetto, perché spesso e volentieri l’attività professionale e l’ambito disciplinare su cui insistono entrambe le professioni in oggetto è veramente identica. Inoltre, mentre l’architetto ha un ordine di categoria e di appartenenza, è tutelato e rappresentato ai fini previdenziali; la professione del designer no! Secondo la voce di categoria scelta, corrisponde un sistema previdenziale diverso. Per il designer esistono mille micro definizioni ma mai quella giusta, c’è sempre qualcosa che lo ridefinisce per quello che realmente non è.

In Italia è ancora abbastanza comune la definizione che vuole il designer come colui che disegna oggetti; se si esce da questo tracciato diventa molto difficile trovargli un posizionamento che sia consono ad altre declinazioni e specificità del progettista moderno. Ne menzioniamo alcuni? Se parliamo di consulenza strategica, il designer a quale categoria aderisce? E se lavora insieme al marketing allo scopo di produrre scenari progettuali? Se fa ricerca? Se sviluppa concetti legati ai servizi che lavorano a supporo dei prodotti? Eccettera, eccetera …

Continuiamo a porci delle domande! Ma l’Associazione per il Disegno Industriale e i professionisti legati a questa disciplina, cosa hanno fatto negli anni passati per sbloccare quest’apparente impasse? Forse possiamo ipotizzare che questo problema non è mai particolarmente emerso perché tutti coloro che operavano in questo ambito erano architetti, quindi già tutelati da una categoria? Nessuno mai ha pensato di aprire un dialogo con il sistema burocratico alla fonte, tentando di far capire ai burocrati l’esistenza di una Categoria Creativa che in Italia si stava formando e che da sempre è il motore dell’innovazione?
Hanno mai lavorato sul come poter dare un’identità più concreta alla categoria del Design e tutelare i designer?
Ma è possibile che in Italia il designer sia sempre trattato come una sottocategoria, quando invece in altre nazioni è dichiaratamente trattato con maggiore valore, utile alla crescita del proprio paese?
Ma soprattutto perché qui si continua a trattare questa disciplina solo come una costola dell’Architettura, mentre in altri luoghi del globo la sua precisa definizione e riconoscibilità si è consolidata già da un secolo? In fondo, nei tanti testi di storia del design non si è sempre scritto che il Design nasce dalle arti applicate? Il valore disciplinare del design non nasce oggi! In molti paesi d’Europa, a cavallo tra l’ottocento e il novecento, si è dibattuto culturalmente sul ruolo dei manufatti e dei loro materiali, dei processi di produzione, della loro funzione e del loro aspetto, dirigendo nuove evoluzioni estetico-formali-ornamentali. Il passo successivo fu la consapevolezza che i prodotti facessero parte di un sistema molto più allargato considerando quindi le pratiche delle persone, l’impatto dei prodotti nella società, gli involucri dei prodotti stessi e il modo in cui presentarlo, spedirlo, venderlo, garantirlo offrendo insieme al bene anche il servizio, attraverso un processo di design integrato. E’ indicativo sapere che le università straniere dedicate al design nascono dalle scuole d’arte, mentre in Italia, fino a pochi anni fa, facevano parte quasi esclusuvamente delle facoltà di Architettura. Ancor oggi la Scuola del Design di Milano è figlia della III Facoltà di Architettura – Design.

Ci chiediamo ancora come mai negli ultimi decenni si è solo discusso, discusso e ancora discusso senza mai arrivare a decisioni visibilmente chiare ed efficaci? Vedi ad esempio il dibattito infinito, ereditato anno dopo anno, in merito alla creazione del Museo del Design Italiano. In questo modo abbiamo senza dubbio perso molto terreno rispetto alla posizione di altri paesi in Europa e nel Mondo che sicuramente erano meno fortunati dell’Iitalia in quanto a talenti e creatività. Oggi invece queste nazioni sono un riferimento per molti.
Come mai in Italia la disciplina del Disegno Industriale come Facoltà Universitaria riconosciuta è stata finalmente creata solo nel 1993? Si abbiamo detto 1993!!! E perché per anni è rimasta solo una costola della Facoltà di Architettura, mentre tutto il mondo si muoveva su parametri disciplinari Design Driven da almeno mezzo secolo?

Concludiamo con un ultima domanda. Perché le nuove discipline legate al Design come l’Interaction Design, il Web Design, il Design dei Servizi, il Design della Comunicazione e così via, faticano a trovare spazio, voce e visibilità?

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Associazioni
http://www.001design.it/associazioni.html
http://www.aiap.it/
http://www.adi-design.org/homepage.html

Associazioni europee
http://www.icograda.org/
http://www.beda.org/

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Nei blog si trovano molte domande disperate come questa:

“Entro domattina devo aprire la partita iva, devo compilare i moduli e non so il codice di attività che richiedono per la nostra categoria (designer grafico), qualcuno può aiutarmi???”

“Dai un’occhiata a questa discussione : http://www.lavoricreativi.com/forum/index.php?showtopic=734”

“Consultata ma non specifica con che codice !!!”

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