Si è aperta alla Cooper-Hewitt, National Design Museum di New York una mostra dal nome “Design with the other 90% cities”.
Una mostra che racconta come si sono ottenuti importanti risultati progettuali, attraverso il lavoro puntuale di ascolto e di collaborazione partecipata a stretto contatto con comunità disagiate. La mostra si focalizza soprattutto sugli insediamenti attaccati alle città che i curatori chiamano “informali”, ovvero gli SLUM. Questi agglomerati urbani-satellite, contano ormai un miliardo di persone – in alcuni casi vere e proprie città nella città – stanno finalmente iniziando a dialogare con la parte più nobile e “affermata” della città per dare inizio ad un lavoro di integrazione e assorbimento.
È per noi fondamentale mettere in luce lo sforzo dei designer e delle persone che si sono promosse nel trovare i giusti strumenti di progetto e di avvicinamento allo scopo di ottenere risultati reali e costruttivi.
Attraverso alcune attività creative-strutturate e di partecipazione al processo progettuale – co-partecipazione – si sono raggiunti risultati significativi. Con il coinvolgimento diretto delle persone si sono accelerati i tempi e risoti i veri bisogni di comunità ai margini della società. Lo scopo nobile, è sempre quello di costruire un mondo migliore per se stessi e per le città in cui viviamo. Ma senza il supporto di chi sa sostenere tale trasformazione risulta un’opera e uno sforzo quasi impossibile.
L’evoluzione delle città hanno sempre rappresentato nella storia il fulcro del sapere, simbolo e orgoglio di ogni nazione. Milioni di persone hanno sempre migrato verso i centri produttivi per trovare miglior vita. Oggi questa situazione la si può avvertire in modo ancor più rilevante nelle aree suburbane delle megalopoli emergenti di tutto il mondo, ovviamente irrisolte.
In America Latina, più del 90% della popolazione vive in aree urbane, nel 2030 è stimato che avremo più persone in città che nelle aree rurali. Si stimano almeno 200.000 SLUM nel mondo, con una densità altissima di popolazione, che si traduce in disagio, difficoltà al sostentamento e criminalità dilagante.
La città è spesso vista come una soluzione, ancor più per chi vuole scappare dalla povertà. La possibilità di accedere agli agglomerati urbani è una fonte potenziale di sopravvivenza. Per il Design invece, creare prodotti e servizi sostenibili dedicati a queste comunità suburbane è importante. Oggi questa situazione rappresenta una grande sfida e un’interessante opportunità sia per la società contemporanea che il mondo del progetto.
https://visit.impure.com/space/#/santiago/guardian/UNpopulation/flags
http://earthpulse.nationalgeographic.com/earthpulse/crowding-planet-text
http://www.guardian.co.uk/news/datablog/2011/may/06/world-population-country-un
http://www.foreignpolicy.com/articles/2011/10/26/worlds_fastest_growing_cities_
http://www.unfpa.org/pds/urbanization.htm
La mostra è un racconto riservato a progetti di urbanistica, di architettura sostenibile e di prodotti utili a soddisfare le esigenze primarie. Tali risultati emergono dallo sforzo congiunto di progettisti, ingegneri, ONG e filantropi che, attraverso uno sforzo comune, hanno voluto cambiare le sorti di intere comunità disagiate, aiutandole e trasformando quei luoghi in strutture di vita più umane e contemporanee.
Tradizionalmente è la figura dell’architetto che si è sempre dedicato alle problematiche relative al costruire e all’urbanizzare; oggi invece si richiede un contributo più allargato e consapevole, dove il raggio di azione è più ampio e dove il contributo multi-culturale e disciplinare attiva sistemi di setting e soluzioni più adeguate, ponderate. La gestione della complessità relativa alle problematiche di queste realtà è un lavoro nel lavoro; la messa in sicurezza del territorio, la direzione di progetti veramente attuabili, l’acqua pulita e l’igiene, l’uso dell’energia, l’assistenza sanitaria, i servizi primari, l’educazione e l’organizzazione civile delle comunità sono solo alcune delle priorità. I singoli cittadini e le comunità non riescono ad avere una visione di questo tipo e non riescono da soli a fare il passo necessario al cambiamento. In queste occasioni è indispensabile, più che necessario, anche il contributo di designer specializzati, esperti non solo di strategie teoriche ed applicative, ma anche capaci di stimolare il progetto attraverso l’apporto di pratiche creative che possono facilitare l’individuazione di nuovi scenari progettuali.
Secondo il manifesto dei curatori della mostra, che definiscono gli slam come “urban knowledge base city”, è giunto il momento di dare un’identità ed una posizione riconosciuta a queste città – ai confini della realtà e quasi non considerate – promuovendole ad un livello superiore, considerarle come uno stimolo piuttosto che un fastidio.
Questa mostra propone, cataloga e mette in scena più di sessanta progetti significativi. Il messaggio che ne traspare è una nuova visione del concetto di Design, che mette in evidenza la straordinaria capacità di innovare co-progettando insieme alle persone che vivono e appartengono ai luoghi e, nello stesso tempo, ci ricorda quanta strada dobbiamo ancora fare per riequilibrare ciò che al momento non lo è. Spesso manca il supporto dei governi e degli enti locali, della municipalità e di tutti coloro che non applicano quelle policy/regole che atte ad promuovere l’innovazione. La mostra testimonia come costruire infrastrutture utili e sensate facendo partecipare direttamente le comunità interessate alle fasi di progettazione, di sviluppo e di testing. Questa attitudine partecipativa, ha influito in modo incisivo al raggiungimento del risultato finale, non solo come risposta a livello di prodotto ottimizzato ma soprattutto perché è stato creato ciò che le comunità volevano e avevano bisogno!
I progetti sono stati categorizzati seguendo precise logiche di osservazione: Cambiare, Rivelare, Adattare, Prosperare, Accedere e Includere. All’interno di ogni area sono raccontati i diversi casi progettuali e i loro approfondimenti. Uno tra tanti riguarda un forno per cuocere super economico e che utilizza la spazzatura come combustibile esente da gas nocivi, in Senegal.
http://designother90.org/cities/solutions/community-cooker-jiko-ya-jamii
Un altro caso è dedicato ai guidatori di Boda Boda, taxisti ugandesi su motocicletta.
Il problema più grande che li riguarda da vicino, è la guida senza casco. Il 70% dei centauri, capitola in modo disastroso, il tasso di mortalità è altissimo. I caschi certificati costano molto. La soluzione proposta, tiene presente i bisogni dei motociclisti locali e la necessaria economia del prodotto.
http://designother90.org/cities/solutions/bepro-motor-taxi-helmet
Efficaci le tecniche utilizzate per le casette a schiera nella Township di Città del Capo, dove l’architetto ha usato e mischiato metodi di produzione locali ad altre più innovative, dal fango alla struttura in legno usando EcoBeam.
http://designother90.org/cities/solutions/10×10-sandbag-house
http://cooperhewitt.org/blog/2011/11/04/india’s-elastic-cities
http://cooperhewitt.org/visit
http://other90.cooperhewitt.org/
Una mostra è per tutti ma anche per gli addetti ai lavori, i designer in prima linea.
Stimolante e propositiva, sarebbe bello ospitarla anche in Italia. Con l’occasione si potrebbe aprire la discussione nel tentativo di risolvere le problematiche connesse alle nostre città che, se pur chiaramente più evolute degli slum, potrebbero trarre vantaggio e applicare soluzioni adeguate a molti problemi che affliggono i nostri quartieri, le nostre comunità, i nostri servizi, aiutando l’intero sistema a riconfigurarsi ringiovanendo e debellando meccanismi sedimentati nel tempo, offrendo a noi progettisti opportunità fantastiche in termini di innovazione.