■ Chi è Stefano Epifani?
Qualche settimana fa abbiamo avuto il piacere di intervistare Stefano Epifani, attualmente titolare della cattedra di Tecnologie applicate alla Comunicazione nella Laurea Specialistica in Comunicazione d’Impresa della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Roma La Sapienza.
Prima di tutto Stefano ci ha spiegato la differenza tra l’approccio ai social media delle aziende private e della PA. Sicuramente si tratta di un quadro a marce diverse, ma bisogna far notare che nelle aziende private spesso la velocità non è come si vorrebbe pensare: spesso fanno fatica a capire la portata della rivoluzione che la società sta vivendo e che solo di riflesso investe le aziende, generalmente abituate a dettare il cambiamento ed ora costrette a subirlo.
La Pubblica Amministrazione vive questo problema all’ennesima potenza, perché se le aziende devono solo adeguarsi al cambiamento, con tutte le difficoltà che questo comporta, quando si parla di PA bisogna fare i conti con uno scenario normativo complesso, con problemi riguardanti le competenze internet e con un contesto culturale complessivo davvero complicato da eradicare e cambiare. Il crollo del sito ISTAT per il censimento è la metafora dell’inadeguatezza a rendersi conto del cambiamento che sta avvenendo nella società.
Un altro argomento che abbiamo affrontato insieme è stato quello dell’utilizzo di social media da parte dei politici. Da diversi anni Stefano sta analizzando, insieme a un gruppo di ricerca, le attività dei politici in rete, e le dinamiche relazionali sono drammaticamente cambiate negli ultimi 4 anni. Se l’eccezione, solo qualche anno fa, era che un parlamentare fosse presente online, ora la vera eccezione è il politico che non è in assoluto online. Il vero problema è che, pur essendo presenti sui social media, riportano su uno strumento nuovo, con regole nuove e soprattutto che si riferisce a un contesto completamente nuovo, le regole e le modalità di comportamento tipiche della gestione che fanno e hanno fatto in passato con gli strumenti mainstream.
Si spiegano dunque anche i frequenti attacchi alla libertà della rete, che in alcuni casi sono costruiti, ma in altri non sono frutto di una volontà di danneggiare la rete, bensì della semplice ignoranza riguardo al funzionamento di questi mezzi. Ne sono talmente lontani che non hanno nemmeno la percezione del fatto che il mondo è cambiato, rendendo quindi difficile identificare degli elementi normativi adeguati.
Stefano ci ha spiegato anche in cosa consiste l’attività dell’Associazione Italiana per l’Open Government, che ha il compito di incidere sull’amministrazione in modo tale da far comprendere che il mondo è cambiato. Non solo, sono cambiati anche i rapporti, le relazioni tra amministrazione e cittadino, che non è più suddito e usufruttuario di un sistema di servizi, bensì un interattore: la PA deve quindi mettere a disposizione gli strumenti che gli permettano di interagire, e si tratta innanzitutto di strumenti conoscitivi.
Il primo fra questi è la disponibilità dei dati, ovvero open data, che permettono di conoscere la realtà dei fatti in base alle informazioni detenute dall’amministrazione. La PA detiene moltissimi dati non sfruttati, che però sono stati pagati con le tasse dei cittadini e che ai cittadini appartengono. Quando si parla di open data ci si avvale sempre di un equivoco legato alla privacy: non si tratta infatti di dati personali, ma per esempio i dati della rilevazione dell’inquinamento delle città, i costi delle ASL, i livelli di performance negli istituti di formazione superiore, i costi del Comune, giusto per citarne alcuni.
Tutti questi dati dovrebbero essere messi a disposizione di tutti non solo nel formato non elaborabile in cui sono pubblicati per legge, ma in un formato che possa essere elaborato, in modo da poter confrontare i dati ed innescare una collaborazione virtuosa tra impresa, amministrazione e cittadino. Una volta che il dato è disponibile, infatti, rappresenta l’infrastruttura per lo sviluppo di una serie di servizi che producono benessere, posti di lavoro, ricchezza e consapevolezza nel cittadino.
Si tratta quindi da una parte di una possibilità di sviluppo e dall’altra di una reale porta verso un processo di democrazia più strutturata che oggi è possibile grazie alle nuove tecnologie.
Abbiamo parlato anche di comunicazione aziendale attraverso i social media, di e-learning, di innovazione e ricerca scientifica portata dentro le aziende, giusto per citare alcuni temi.
Invito quindi tutti alla visione dell’intervista integrale, ricchissima di informazioni, riflessioni e chiarimenti riguardo a questi temi molto discussi in questi mesi.