Perchè Djokovic molla Sergio Tacchini (e sceglie il Giappone)

Neanche il tempo di metabolizzare la finale persa a Roma, che Novak Djokovic, 25 anni compiuti ieri, è di nuovo in scena davanti a fotografi e giornalisti in un elegante palazzo parigino. Non si p...

Neanche il tempo di metabolizzare la finale persa a Roma, che Novak Djokovic, 25 anni compiuti ieri, è di nuovo in scena davanti a fotografi e giornalisti in un elegante palazzo parigino. Non si parla di terra battuta, ma di marketing: il numero uno del mondo saluta l’attuale sponsor Sergio Tacchini (lo stesso dei gloriosi Mc Enroe e Sampras) per abbracciare la giapponese Uniqlo, pronta a ricoprirlo d’oro con almeno 6 milioni di dollari l’anno per cinque anni.

Marchio casual fortissimo in Giappone, Uniqlo fa la guerra a H&M e Zara nella fascia low cost. E’ intenzionato a sbarcare in quel di Milano e possiede a Tokio 99 degli 850 store piazzati in Giappone, oltre ai 230 sparsi nel mondo (tra cui gli ottomila metri quadri del negozio sulla Fifth Avenue di New York). Parliamo di un colosso che, almeno per ora, non conosce crisi e vanta pure una frequentazione nel circuito del tennis dove già veste il numero 18 del mondo, Kei Nishikori.

La decisione di cambiare abito era nell’aria da mesi. La scorsa estate autorevoli media statunitensi domandavano se non fosse il caso per Djokovic guardare altrove, considerati i problemi dell’azienda italiana di cui diremo tra poco. Il serbo era legato a Sergio Tacchini dal 2009, con un contratto di dieci anni le cui cifre sono state coperte dalla più stretta riservatezza. Anche se, a quanto si apprende da Oltreoceano, l’accordo prevedeva un minimo garantito piuttosto basso, rafforzato da ricchi assegni in caso di vittorie.

Oggi il divorzio sembra tutt’altro che indolore per la casa di abbigliamento piemontese, il cui rilancio era tutto incentrato sull’astro nascente del tennis mondiale. Djokovic, strappato all’Adidas che decise di puntare su Murray, è stato una straordinaria scommessa vinta, perché sbocciato in pochi mesi diventando il numero uno del mondo, nonché fortissimo uomo immagine. La luna di miele con Tacchini è durata tre anni, durante i quali l’azienda ha dedicato al serbo linee di abbigliamento e divise da gioco per i tornei Slam, oltre a campagne pubblicitarie e un sito internet Nole dipendente.

I crucci derivano dal fatto che Tacchini si è trovata a gestire l’irresistibile ascesa del serbo (4 Slam e 161 partite vinte su 190), senza riuscire a far fronte alla richiesta commerciale in arrivo da tutto il mondo, Stati Uniti in testa, dove i rivenditori hanno protestato per i “mesi di ritardo” con cui arrivava la merce griffata ST, tanto richiesta dai fan. Ogni coppa che Nole alzava si traduceva, da contratto, in premi in denaro da riconoscergli, bonus sempre più alti e, a quanto si dice, non più sostenibili, stando al ritmo dei successi sportivi. Risorta dopo il fallimento del 2007 sotto la guida del magnate cinese Billy Ngok, Sergio Tacchini ha ricominciato a ingranare con una struttura di produzione e distribuzione ben più modesta (negozi monomarca in 7 paesi) rispetto alle macchine da guerra Nike e Adidas che, complessivamente, vestono sei dei primi dieci tennisti al mondo.

Novak si è rivelato un pozzo di soldi e opportunità, ma anche un’occupazione a tempo pieno per Sergio Tacchini che, al fine di curare il suo brand ambassador, dovette interrompere la sponsorizzazione con la Pennetta. “Abbiamo preso Djokovic, non è uno che costi poco, non ce l’abbiamo fatta a trattenere anche Flavia”, questo, due anni fa, il ritornello di un dirigente. Oggi Nole ha alzato le pretese e, a quanto riferiscono i ben informati, è diventato un lusso che ST non può più permettersi. Impietoso, a tal proposito, il giudizio di Darren Rovell, columnist della Cnbc: “Tacchini non è stata in grado far fruttare il successo di Djokovic”. E i giapponesi di Uniqlo già si fregano le mani.

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