Ida, un arzilla nonnina di 80 anni, ogni sei mesi ripulisce il suo armadietto dei medicinali e getta i suoi blister di farmaci scaduti o che non utilizza più nel bidone apposito vicino alla sua farmacia.
Anche Maria, giovane mamma ogni tanto nelle pulizie di casa, tempo e figli permettendo, fa la stessa cosa gettando flaconi di antibiotico o antinfiammatori che i suoi figli non hanno usato: “meno male che li butto, dottore, si giustifica, vuol dire che non mi sono serviti“.
Eh già! E’ quasi una di quelle sitcom che il contenitore posto davanti alle farmacie subisce spesso, riempiendosi e saziandosi a vista d’occhio in pochi giorni.
Ma niente paura arriva, la confezione ‘salvasprechi’, la provvidenziale monodose, varata nell’art. 11 DI ‘liberalizzazioni‘ di febbraio 2012.
Se ne è parlato nella conferenza stampa “Liberalizzazioni: risparmio con nuove confezioni di farmaci” organizzata al Senato dal gruppo per il Terzo Polo Api-Fli con la partecipazione di Francesco Rutelli, Emanuela Baio e Giuseppe Valditara dell’Api e di Mario Baldassarri di Fli. Insieme a loro, Annarosa Racca, Presidente Federfarma e Giorgio Foresti, Presidente Assogenerici.
Secondo Mario Baldassarri il risparmio potrebbe arrivare a 4,2 miliardi l’anno, ma non ho ben capito su quale base è fatto il calcolo.
Infatti mi sovvengono alcune domande:
come individuare la monodose nella giungla selvaggia del numero di compresse o bustine delle confezioni? Per esempio, già ci sono storture per le terapie croniche: molti comuni farmaci antiipertensivi contengono 28 compresse.
Ma come? Un mese è fatto di 30 giorni, ma forse si pensa solo al mese di febbraio! Peggio ancora quelli che ne contengono 14: qui non si capisce proprio il criterio: che ci si cura per metà mese?
Però l’antinfiammatorio che è più in voga oggi , l’Oki contiene 30 bustine, ah beh! così possiamo incrementare gli effetti collaterali senza colpo ferire!
E l’antibiotico amoxicillina + acido clavulanico (augmentin o clavulin)?: ormai per la piaga dell’antibioticoresistenza le terapie durano 7-8 giorni, ma le confezioni ne coprono 6: ergo si intacca la seconda scatola e si molla a mezzo, facendole poi fare la fine che ha fatto fare Maria ai suoi farmaci, contenta di buttarli senza averli utilizzati.
Poichè quello che incide maggiormente sulla stragrande maggioranza dei farmaci non è il costo del principio attivo, ma per l’appunto il packaging, non aumenta invece di diminuire il prezzo per allestire la monodose? Il supermercato in questo senso ce lo insegna, le confezioni per ‘single’ costano proporzionalmente più delle confezioni ‘famiglia’.
E’ così impraticabile la via di altri paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna di sconfezionare le scatole e numerare le dosi necessarie per le terapie prescritte dal medico, almeno per alcuni tipi di farmaco?
Evidentemente sì, se l’intermedio proposto è come sempre un compromesso di interessi più ampi.
Per Loredano Giorni, dirigente settore politiche del farmaco innovazione e appropriatezza della Regione Toscana, occorerebbe anche puntare sulle confezioni ‘starter‘ e ‘strong‘: le prime servono per individuare la terapia adatta, le seconde invece servono a completare un intero ciclo.
E per i consumatori? Per l’Aduc si tratterebbe dell’ennesima fregatura al cittadino e all’SSN.
C’è da giurare che l’Italia del compromesso e della plasmabile via di mezzo l’avrà vinta tra pareri contrastanti: Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria dice che il progetto delle monodosi ‘è un falso problema‘ con costi aggiuntivi per le imprese, mentre Foresti, presidente di Assogenerici, lo ritiene un progetto interessante.
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