Questo non è il primo nè sarà l’ultimo di una lunghissima serie di rabbiosi sfoghi contro Trenitalia ed i suoi “treni veloci” da terzo mondo. Me ne rendo conto. Ma voglio comunque descrivere le incresciose situazioni in cui io e la mia famiglia ci siamo imbattuti oggi viaggiando su ferrovia.
Scelta, in luogo delle ingolfatissime autostrade, per andare a Rimini a far visita a nonna Chiara.
A dire il vero l’opzione del treno non è stata dettata dal solo desiderio di evitare il consueto imbottigliamento autostradale, ma anche, come sottolineato da mia moglie, “perchè ai bimbi piace tanto il treno…”. Cosicchè, pieni di ansia di goderci una bella giornata al mare e di assaporare il fascino di un viaggio in treno, arriviamo alla stazione di partenza attorno alle 8. Il treno proveniente da Milano giunge puntuale pochi minuti dopo. La prima sorpresa con cui facciamo i conti è che i vagoni sono solamente sei. Ciò, nonostante si tratti di un treno che toccherá le principali localitá balneari per aporodare a Pescara e dovrebbe essere cosa arcinota che, anche complice la crisi, sono ormai decine di migliaia i pendolari del mare.
Sul treno in effetti non c’è praticamente più posto a sedere. E quindi scegliamo di posizionarci, ovviamente in piedi ed assieme ad altri otto-dieci passeggeri incazzati come noi, nei cinque metri quadrati che ci sono tra un vagone e l’altro.
Appena chiuse le porte, guardatoci attorno e compiuta la prima inalazione dell’aria presente nel treno, ci rendiamo conto che il problema del mancato posto a sedere è decisamente secondario. Il treno, oltre ad essere caldissimo, è inverosimilmente sudicio in ogni suo componente. Dal pavimento appiccicaticcio e divenuto nero a causa dello sporco accumulato, ai finestrini ingialliti e incrostati dagli sputi lanciati contro di essi dall’interno e dall’esterno, alle maniglie unte e “incaccolentite”. La puzza che trasuda da ogni parte, accresciuta dal maleodore che emanano i corpi di tanti concittadini, italiani purosangue, evidentemente poco avvezzi all’igiene personale, è quella tipica dei luoghi che non vedono una pulizia, seppur superficiale, da anni. Insomma più che su un treno, come sottolineano anche i viaggiatori che abbiamo di fronte, pare di viaggiare su un carro bestiame.
Per il viaggio di ritorno siamo psicologicamente pronti a fare una esperienza simile. Peccato, però, che non si riesca a salire a bordo. I soli cinque vagoni del convoglio proveniente da Pescara e diretto a Milano sono stipati in ogni angolo, cosicchè saggiamente decidiamo di aspettare il treno successivo.
Le scene che si presentano davanti ai nostri occhi sono tragicamente comiche: ci sono passeggeri a terra che, nel disperato intento di salire sul treno, si gettano addosso a quelli giá a bordo, spremendoli come limoni; altri aspiranti viaggiatori vengono invece brutalmente respinti dalla muraglia umana formatasi sulle scale di accesso al teno; si vedono componenti di famiglie disperati e urlanti, perchè divisi tra chi ce la fa ad infilarsi e chi rimane a terra. E si assiste increduli, ma pure divertiti, all’ondata di pesanti insulti che tanti indirizzano agli sventurati addetti di Trenitalia presenti.
Dopo circa un’ora prendiamo un treno, meno affollato, ma molto sporco. Guardando fuori dal finestrino mi dico che per fortuna tra poco saremo a casa. Nello stesso tempo si fa strada, un po’ infantilmente, la speranza che almeno un decimo di quelle imprecazioni udite poco prima arrivino sulla scrivania di Moretti: il vero artefice dello scivolamento verso il quarto mondo dei nostri treni. E probabilmente, anche per questo, così coccolato dalla nostra quartomondista classe dirigente.