Mercato e LibertàUna cura da cavallo per l’Italia

All’Italia serve una cura da cavallo; il governo Monti applica cure da pony; il Parlamento fa passare cure da cavallucci marini. Questa è la situazione del paese, e se non è cresciuto per niente in...

All’Italia serve una cura da cavallo; il governo Monti applica cure da pony; il Parlamento fa passare cure da cavallucci marini. Questa è la situazione del paese, e se non è cresciuto per niente in venti anni, continuerà a ristagnare nei prossimi venti, se non si fa qualcosa.

Innanzitutto, la crescita. Il dibattito italiano sulla crescita è: spendere di più o tassare di meno per stimolarla? Peccato che quando si parla di crescita si intende un fenomeno pluriennale, non quattro o sei semestri di ‘stimolo’. Per la crescita è necessario che risorse reali (risparmi e lavoro) vengano usate dagli imprenditori per acquisire capitali (fisico e umano), per produrre efficientemente, per innovare. Se uno di questi passaggi non funziona, addio crescita.

Un tema strettamente collegato è quello dei conti pubblici: le tasse riducono gli incentivi a produrre, il deficit riduce le risorse disponibili per gli investimenti, il debito aumenta i rischi di crisi sistemica, la spesa pubblica sposta risorse verso un settore inefficiente e poco innovativo come quello pubblico.

La crescita dipende anche dalla competitività, dallo stato di diritto (difesa dei diritti di proprietà), dalla dinamicità dell’economia, tutti temi su cui l’Italia sta messa malissimo.

Con questa premessa, ecco la cura da cavallo:

TAGLI ALLA SPESA

  • Tagliare gli incentivi alle imprese, i sussidi ai giornalisti, alle energie alternative, allo spettacolo.
  • Tagliare pensioni e vitalizi frutto di pochi anni di contributi sopra una certa soglia.
  • Tagliare gli stipendi della P.A. in modo da compensare gli aumenti salariali extra rispetto al settore privato negli ultimi dieci anni.
  • Tagliare il numero e i sasari dei dirigenti della P.A. e dei politici, gli aumenti salariali automatici, e i premi di produzione non collegati a serie valutazioni di produttività
  • Vendere le aziende pubbliche e gran parte del patrimonio pubblico che non rende più del costo del debito.
  • Tagliare i trasferimenti agli enti locali, tranne per la sanità.
  • Implementare rigidamente il criterio dei costi standard fissati dai benchmark nei trasferimenti alle regioni.
  • Rivedere le spese per consumi finali ed intermedi chiedendosi perché sono esplose di decine di miliardi negli ultimi anni.
  • In definitiva, passare da oltre il 50% di PIL di spesa pubblica a meno del 45%, come minimo.

TAGLI ALLE TASSE

  • Abolire l’IRAP.
  • Tagliare i contributi previdenziali a carico del lavoratore e del datore di lavoro.
  • Eliminare la miriade di tasse ad alta complessità burocratico che rappresentano costi inutili per le imprese.

RIFORME

  • Liberalizzare i trasporti a lunga percorrenza, soprattutto i treni, separando la rete dalla gestione delle stazioni, la manutenzione e la progettazione delle linee, e la gestione dei treni.
  • Liberalizzare la produzione e la distribuzione di energia elettrica.
  • Liberalizzare le professioni.
  • Liberalizzare i servizi pubblici locali.
  • Ripristinare i principi dello stato di diritto nella giustizia tributaria: niente solve et repete, niente inversione dell’onere della prova, e interpretazione a favore del contribuente di ogni norma non chiara.
  • Ridurre la burocrazia a carico delle imprese.
  • Ridurre la discrezionalità della P.A. e introdurre il silenzio-assenso per i permessi in tempi rapidi.
  • Rendere più rapida e prevedibile la giustizia civile.
  • Rendere possibile il licenziamento per ogni impresa, a patto che paghi un indennizzo di disoccupazione.
  • Riformare le fondazioni bancarie ed usare le loro risorse per ricapitalizzare le banche.

Queste linee-guida potrebbero far ripartire l’Italia, se potessero essere seriamente e credibilmente implementate (ma non abbiamo istituzioni credibili in grado di farlo): dopo un paio di anni di crisi l’Italia ricomincerebbe a crescere, magari recuperando parte del terreno perduto in venti anni di stagnazione.

Pietro Monsurrò