Non è una novità quella proposta dall’artista svizzero Charrière per la XIII Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, intitolata “Common Ground“. Altri artisti si erano cimentati nella stravagante opera che vede protagonisti diversi esseri animali, dai topi alle api, dalle farfalle ai piccioni, appunto. Colorati. Il rosso, pare, sia il più raro. La trasformazione genetica del volatile diventa espressione artistica. Quegli animali sempre scacciati, ripudiati, brutti e malati, oggi hanno trovato un “terreno comune” in cui hanno, finalmente, un ruolo ben preciso, dentro i cui limiti (temporali più che spaziali) troneggiano, ignari della trasformazione, ma ammirati dal basso (o forse dall’alto visto che a volare sono rimasti in pochi) da un pubblico per lo più infantile.
Divertente. E interessante. Ma il mio animo polemico, seppur ben aperto alle frontiere illimitate del mondo dell’arte, storce il naso. Ma il piccione, che ne pensa di esser stato tutto colorato a sua insaputa? Ci dicono che non ci sono conseguenze per la sua salute. Ma la moglie del piccione, lo rivorrà indietro tutto verde? E lui, povero brutto volatile, avrà una dignità nonostante le sue scacazzate a destra e manca, che gli urla dentro quel petto tutto gonfio “Sono nato grigio e grigio voglio tornare”?
Chissà, questo non ci è dato di saperlo. Certo è che ne hanno fatte di tutti i colori, è proprio il caso di dirlo: dal Gronchi rosa, a Barbablu. E adesso cosa diremo, il Piccione Rosso? No, per quello c’è già il Barone.