Keynes BlogLa spendig review e il “punto di vista del Tesoro”

Meno 2,5 per cento. E' il dato sulla decrescita del Pil italiano diffuso ieri dall'Istat, riferito al confronto tra secondo trimestre del 2012 e secondo trimestre del 2011. E' il peggiore dal 2009...

Meno 2,5 per cento. E’ il dato sulla decrescita del Pil italiano diffuso ieri dall’Istat, riferito al confronto tra secondo trimestre del 2012 e secondo trimestre del 2011. E’ il peggiore dal 2009. Rispetto all’inizio dell’anno siano già più poveri dello 0,7%. Mentre questi dati venivano annunciati, il Parlamento ha approvato in via definitiva la “spending review” in cui convivono i tagli alla spesa, in buona parte “lineari”, come nella tradizione di questi anni, e alcuni aumenti delle tasse.

In una “spending review” ci si aspetterebbe di vedere tagliate le spese poco produttive: eppure lo Stato continuerà a rimborsare farmaci “di marca” e ad acquistare 90 aerei militari F35, per la somma di 10 miliardi.

Quello che sta accadendo in Italia, come nel resto dell’Europa meridionale, è contrario non solo alla teoria economica keynesiana ma, a questo punto, persino al buon senso. Non deve tuttavia stupire. Il riferimento teorico di questa politica è semplice e prende il nome di “Treasury view”, il “punto di vista del Tesoro”.

La “Treasury view” parte dall’assunto che il tasso di interesse (quello che le banche applicano ai prestiti alle imprese) sia il punto di equilibrio tra gli investimenti e i risparmi poiché, come afferma la teoria neoclassica, il tasso di interesse altro non è che un “prezzo” al quale la domanda (prestiti) e l’offerta (risparmi) si equilibrano.

Dato per scontato ciò, ecco cosa sosteneva il Tesoro britannico nel 1929, e cosa ancora sostengono gli economisti di impostazione neoclassica.

Il grafico rappresenta l’andamento degli investimenti (I) e del risparmio (S) al variare del tasso di interesse. Ove le due rette si incrociano, si determina il prezzo di equilibrio tra domanda e offerta, cioè il nostro tasso di interesse i. Partendo da una situazione di equilibrio, se si provasse ad aumentare la spesa pubblica (G) si otterrebbe una nuova retta I+G che, incrociando la retta dei risparmi S in un punto più alto, determinerebbe un tasso di interesse i’ maggiore di quello di equilibrio i. Ciò però avrebbe effetti negativi sull’investimento (privato) I, poiché gli imprenditori subirebbero maggiori costi per finanziarsi. Inoltre l’aumento del tasso di interesse avrebbe conseguenze negative anche sui consumi come riflesso dell’aumento del risparmio.

La maggiore spesa pubblica G, quindi, provocherebbe una minore spesa privata (in investimenti e consumi) pari al suo ammontare. Per usare il linguaggio neoclassico, la spesa pubblica “spiazza” quella privata e fa aumentare il tasso di interesse. Viceversa una riduzione della spesa pubblica non potrebbe che avere effetti positivi, ancor più pronunciati se accompagnata dalla riduzione delle imposte. Difatti le maggiori risorse a disposizione del sistema privato e la riduzione del tasso di interesse favorirebbero gli investimenti.

La critica

Cosa c’è di sbagliato in questo ragionamento? Praticamente tutto. In primo luogo è abbastanza difficile stabilire un nesso causale che porta dagli investimenti e dai risparmi al tasso di interesse. La riflessione tradizionale di Keynes verteva sul fatto che le decisioni di investimento sono prese dagli imprenditori in base alle aspettative e solo secondariamente rispetto al tasso di interesse. Le decisioni di risparmio invece sono prese dalle famiglie e dipendono dal reddito disponibile: più si guadagna più sarà facile risparmiare. Nulla assicura quindi che il tasso di interesse sia davvero quel prezzo che equilibra investimenti e risparmi.

Nel capitalismo attuale, poi, le cose sono ancor più complesse, considerando che una parte rilevante del risparmio delle famiglie finisce nel “concorso di bellezza” dei mercati finanziari, attraverso i fondi pensione privati, creando quello che Minsky ha chiamato “money manager capitalism“.

Infine il tasso di interesse applicato dalle banche ai propri clienti è legato alla politica monetaria della banca centrale. Per tutte queste ragioni, e anche altre, è bene considerare il tasso di interesse come una variabile esogena, cioè data, e non determinata dall’equilibrio tra investimenti e risparmi.

Emerge quindi chiaramente la prima falla nel punto di vista del Tesoro: la pretesa che l’aumento di spesa pubblica determini un aumento del tasso di interesse. In effetti non c’è giustificazione alla relazione tra queste variabili nel modo descritto dalla “Treasury view”.

La seconda falla del punto di vista del Tesoro è conseguente: l’aumento della spesa pubblica non spiazza la spesa privata, se non in condizioni particolari (piena occupazione delle risorse produttive). Del resto, per quale ragione assumere un milione di insegnanti e infermieri dovrebbe avere effetti negativi sui consumi? E perché costruire una strada, una ferrovia o finanziare una missione nello spazio dovrebbe avere ripercussioni negative sull’investimento privato? Al contrario, l’assunzione degli insegnanti e infermieri fornirà un reddito a persone che non ne avevano alcuno, e favorirà i consumi piuttosto che deprimerli. Così la costruzione di una strada, di una ferrovia o una missione nello spazio porterà le imprese a investire per realizzare queste opere, tra l’altro assumendo nuovo personale. Infine è evidente che il punto di vista del Tesoro nega esplicitamente che l’aumento della spesa pubblica possa avere effetti positivi sul prodotto interno lordo, nell’ipotesi che essa sia sempre e comunque “improduttiva”.

E’ chiaro tuttavia un punto: la maggiore spesa statale deve essere finanziata. Questo può avvenire o aumentando le tasse (ma ciò ne diminuisce l’efficacia, a meno che non si colpiscano solo i soggetti che hanno grandi risparmi) oppure in deficit. La seconda ipotesi è la più efficace ma è più difficile da attuare per quei paesi che non hanno una propria moneta e una propria politica monetaria, per i quali i tassi sul debito pubblico sono legati ai mercati finanziari e non possono stampare moneta per finanziare i deficit aggiuntivi. Vale a dire i paesi della zona euro.

Succede così che, attraverso un vincolo esterno, si renda nei fatti impossibile qualsiasi politica economica espansiva. L’austerità, il punto di vista del Tesoro, diviene l’unica strada percorribile. Ma non per questo diventa efficace.

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