Qualche giorno fa, Peppino Caldarola, in una sua lucida analisi, si chiedeva come un Pd senza classe dirigente potrà dirigere il Paese. Semmai arriverà a dirigerlo, aggiungo, io.
Credo che il Pd una classe dirigente potrebbe averla. Se solo i suoi capetti, vecchi e nuovi, volessero valorizzarla. É quella rappresentata dai tanti amministratori locali, che in lungo ed in largo per l’Italia svolgono con dignità e competenza il proprio ruolo. E che sono lontani anni luce, non solo dal mondo dorato di Regioni e Parlamento, ma anche dall’ennesimo scontro, messo in scena da queste primarie, tra chi dice di ispirarsi a matrici socialdemocratiche e chi invece reclama una svolta all’isnegna del moderatismo liberale.
I sindaci che stanno gestendo da mesi l’emergenza nelle aree terremotate rappresentano un degno esempio di questa potenziale classe dirigente. Il fatto è che, come scriveva nelle settimane scorse Alfredo Reichlin, “dopo tanta esaltazione del “grillismo” nessuno nota che tutti quei sindaci straordinari sono del Pd”. Gente che, dopo un minuto dalla tremenda scossa del 20 maggio, aveva già infilati i primi calzoni e la prima camicia che erano capitati sotto mano per correre innanzitutto in Comune. A lanciare l’allerta. Ad organizzare i primi soccorsi. A mettere in campo, a mente freddissima, nonostante le gambe tremanti, tutta l’esperienza politica e la qualità amministrativa necessarie per fronteggiare quella che è apparsa subito una catastrofe.
Quei sindaci sono tutti o quasi del Pd, in effetti. Sono il prezioso patrimonio, costruito da una sinistra di governo che, non solo in Emilia, ha continuato ad investire nel vivaio, come si usa dire nel calcio. Ma, nella grandissima parte dei casi, si tratta di uomini e donne “condannati” a non emergere come classe dirigente nazionale. Anche i pochi che riescono ad arrivare a Roma, rimangono nelle retrovie. Nella stanza dei bottoni non ci entrano.
Questo accade anche perché gli amministratori locali, compresi quelli più giovani e con minore timore reverenziale rispetto ai più anziani, sono gregari, stanno sempre dietro a qualcuno. Inseriti dentro quella sorta di circuito chiuso che ora Renzi vorrebbe spezzare (per crearne un altro?), e che nel Pd esercita in modo autoreferenziale la prerogativa di determinare le rappresentanze elettive. Così come le nomine negli enti di cui il sottobosco della politica, specie nei territori, è ancora denso.
Questo è la legge del Pd. Quella che ha prodotto i gregari di D’Alema, di Marini, di Franceschini, di Letta, di Veltroni. Cosicché, in un meccanismo che rende complicato il ricambio generazionale, ma soprattutto impedisce l’emersione di una vera classe dirigente diffusa, i capaci amministratori della periferia rimangono a vita mera cinghia di trasmissione tra la comunità ed il partito.
E, come accade in queste primarie, per il Pd sono essenzialmente trofei da esibire o a da far figurare tra i sostenitori di uno dei due contendenti.