La questione Gramsci e soprattutto il tema dei rapporti con il Pci nel periodo della sua detenzione è tornato ad essere un tema di indagine storica, dopo anni.
Luciano Canfora con un suo nuovo libro Spie, URSS, antifascismo. Gramsci 1926-1937 (Salerno Editrice)
Approfondisce alcuni temi che mettono in discussione profondamente e seriamente una “vulgata”. Due temi essenzialmente. Da una parte la dinamica che conduce all’arresto nelle giornate convulse tra fine ottobre e 8 novembre 1926, quando molta improvvisazione, ma anche (ed è il dubbio che Canfora pone) il dissenso politico non pongono la preoccupazione di fare in modo che Gramsci si possa realmente salvare;
Dall’altra l’invio di lettre non solo a lui, ma anche a Umberto Terracini e Mauro Scoccimarro, in cui la sua posizione politica si aggrava e quella che era una linea di difesa (non apparire come il “capo” del partito) viene letteralmente disintegrata dal contenuto di lettere che invece, proprio lo trattano come “il capo” da cui si aspettano ordini.
“Noi – si legge in quella lettera – ti siamo stati vicini sempre, anche quando tu hai avuto ragioni per non sospettarlo, e abbiamo saputo notizie di te e della tua salute. Anzi ci si dice ora che tu non stai bene e vorremmo saperlo per nostra tranquillità ciò di cui avresti bisogno e che cosa noi possiamo fare per te. Tutto quello che ci è stato chiesto, per te, noi lo abbiamo fatto sempre.” (Luciano Canfora, La storia falsa, Rizzoli, 2008, pp. 226-228)
E’ una lettera che suscita il sospetto di Gramsci, ancor più aggravato da ciò che gli dice il giudice istruttore – Gramsci lo ricorda in una lettera alla cognata i: “Il giudice istruttore, dopo avermela consegnata, aggiunge testualmente: Onorevole Gramsci, lei ha anici che desiderano che lei rimanga un pezzo in galera!”, (Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi 1975, p. 710).
E quel senso di diffidenza aggravato anche da una percezione di solitudine si approfondisce tra il 1929 e il 1932. Sono gli anni in cui Gramsci stende con costanza gran parte delle sue note di lettura e di riflessione e che costituiscono il nucleo centrale dei suoi Quaderni del carcere. In quelle note egli riversa gran parte dei suoi dubbi e di quegli interrogativi che sono presenti nella sua riflessione anche prima dell’arresto. Tra l’altro la dimensione della lotta politica all’interno del partito comunista russo, ovvero la questione del potere crescente di Stalin. Un situazione che egli legge anche attraverso la novità degli anni ’30.
Emerge qui secondo Canfora – e a mio avviso giustamente egli ne richiama l’importanza – un tema che si sarebbe acceso nel secondo dopoguerra e che ancora oggi è al centro della discussine storiografica e politologica: ovvero l’espandersi del fenomeno del totalitarismo. Gramsci vi si sofferma soprattutto a partire dal 1932 quando il fenomeno nazista inizia a delinearsi come una novità strutturale destinata a modificare strutturalmente il quadro europeo e non solo quello nazionale tedesco. Ma appunto guardando nello steso periodo e con la stessa lente alla metamorfosi che assume il quadro sovietico.
Un aspetto che pone Gramsci tra i pensatori di rilievo che si sono occupati della crisi politica del Novecento e che obbliga non solo rileggerlo, ma anche a riconsiderare la storia politica e culturale della sinistra italiana.