Storie di Medioevo e BisanzioIl baccalà, un’altra prodezza veneziana

"Pesce Veloce del Baltico" dice il menù, che contorno ha? "Torta di mais" e poi servono polenta e baccalà cucina povera e umile fatta d'ingenuità caduta nel gorgo perfido della celebrità (Paolo Co...

“Pesce Veloce del Baltico”
dice il menù, che contorno ha?
“Torta di mais” e poi servono
polenta e baccalà
cucina povera e umile
fatta d’ingenuità
caduta nel gorgo perfido
della celebrità

(Paolo Conte, Pesce veloce del Baltico)

Il baccalà è il piatto tipico veneziano. Chiunque sia venuto a Venezia avrà certamente provato questa leccornia.

Ma chi “inventò” il baccalà e specialmente, chi lo fece conoscere in Europa?
Siamo nel XV secolo, il patrizio veneziano Pietro Querini, già signore di diversi territori nell’isola di Creta e già tra grosso produttore dell’ottimo vino malvasia, salpò da Candia il giorno 25 aprile 1431, giorno di San Marco. Portava con se un carico importante destinato alla Fiandre. Nella grande pancia della Querina, la nave scelta per il trasporto, vi erano ben 800 barili di Malvasia, spezie, cotone e molte altre merci per un peso di ben 500 tonnellate. Il Querini aveva fatto la sua fortuna commerciando il preziosissimo vino bianco, conosciuto a Venezia con il nome di Malvasia. Di fragranza mielosa e di sapore dolce e soave, veniva accomunato al nettare degli dei, all’antica ambrosia. Venezia fu l’unica a venderlo negli altri mercati occidentali e la famiglia Querini deteneva questo primato. Pietro si recava spesso nelle Fiandre, all’incirca nell’odierna Olanda e Belgio, per vendere il prezioso vino e poi ritornare a Venezia per depositare il denaro guadagnato. La tratta era sempre la stessa, via mare, da Creta, passando per Malta per poi dirigersi alle Colonne d’Ercole e poi via, su, verso il nord, finché arrivava nelle Fiandre.
Quella volta però qualcosa andò storto. Superato lo stretto di Gibilterra, doppiò il capo di Cabo Fisterra, all’incirca nell’odierna Galizia spagnola, ma venne sorpreso da una continua serie di tempeste, così forti da non rendere il viaggio una vera e propria odissea. Come un novello Ulisse, Pietro Querini tentò di riportare la nave verso la giusta rotta ma la corrente fu più forte di ogni cosa. La Querina si trovò ben presto vicino all’odierna Irlanda senza timone, rotto dai flutti dell’oceano, e senza alberi, strappati dal fortissimo vento. La corrente del golfo spingeva ormai il relitto verso altri lidi sconosciuti.

Era il 17 dicembre del 1431.
Pietro diede ordine di abbandonare la nave di mettere in mare le due scialuppe di salvataggio. Nella prima, quella più piccola, furono imbarcate 18 persone, mentre in quella più grande, trovarono posto ben 47 persone, comprensivi degli ufficiali. La piccola scialuppa sparì nelle acque dell’Atlantico, mentre la seconda riuscì, grazie al razionamento del cibo e ad una grossa quantità di fortuna, ad ammarare in un’isola sperduta a nord della Norvegia.

Era il 14 gennaio del 1432.
Il freddo, la fame, gli stenti, avevano reso il viaggio un inferno, dei 47 scappati al naufragio della Querina, solo 16 si erano salvati. L’isola in cui erano arrivati si chiama Sandøy e al tempo era totalmente deserta. I marinai, assieme al loro capo Pietro, si cibarono di patelle e accesero grandi fuochi per scaldarsi. Erano vicini al Polo Nord e la temperatura d’inverno scendeva moltissimo sotto lo zero. Gran parte dell’equipaggio commerciava nel Mediterraneo dove il clima era notoriamente più mite e gli inverni mai rigidi, immaginiamoci come potevano sentirsi in quel momento!
I fuochi e il fumo richiamarono l’interesse dei pescatori che abitavano la vicina isola di Røst. Giunti nell’isola, che credevano disabitata, trovarono i Veneziani magrissimi e duramente provati dal lungo e infruttuoso viaggio. I pescatori li presero con loro e li portarono nelle loro case, scaldandoli e rifocillandoli. Il piccolo villaggio contava appena 120 anime ed la sua economia gravitava sulla pesca e su uno strano pesce che i Veneziani non avevano mai visto, il merluzzo. La compagine del Querini rimase in quella isola remota per ben 4 mesi, ecco cosa scrisse il patrizio veneziano:

« Per tre mesi all’anno, cioè dal giugno al settembre, non vi tramonta il sole, e nei mesi opposti è quasi sempre notte. Dal 20 novembre al 20 febbraio la notte è continua, durando ventuna ora, sebbene resti sempre visibile la luna; dal 20 maggio al 20 agosto invece si vede sempre il sole o almeno il suo bagliore…gli isolani, un centinaio di pescatori, si dimostrano molto benevoli et servitiali, desiderosi di compiacere più per amore che per sperar alcun servitio o dono all’incontro…vivevano in una dozzina di case rotonde, con aperture circolari in alto, che coprono con pelli di pesce; loro unica risorsa è il pesce che portano a vendere a Bergen. (…) Prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l’una, ch’è in maggior anzi incomparabil quantità, sono chiamati stocfisi; l’altra sono passare, ma di mirabile grandezza, dico di peso di libre dugento a grosso l’una. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d’Alemagna. Le passare, per esser grandissime, partite in pezzi le salano, e cosí sono buone (…). »

La comunità norvegese trattò con molto rispetto e con fraterno spirito di ospitalità i naufraghi veneziani, che furono piacevolmente sorpresi dal trattamento ricevuto. Ecco il loro racconto:

« Questi di detti scogli sono uomini purissimi e di bello aspetto, e cosí le donne sue, e tanta è la loro semplicità che non curano di chiuder alcuna sua roba, né ancor delle donne loro hanno riguardo: e questo chiaramente comprendemmo perché nelle camere medeme dove dormivano mariti e moglie e le loro figliuole alloggiavamo ancora noi, e nel conspetto nostro nudissime si spogliavano quando volevano andar in letto; e avendo per costume di stufarsi il giovedí, si spogliavano a casa e nudissime per il trar d’un balestro andavano a trovar la stufa, mescolandosi con gl’uomini (…). »

Deve essere stato davvero strano per un ricco veneziano abituato al lusso e alla vita agiata governata dal commercio e dal denaro, trovare una attenzione e una gentilezza così naturale tra le persone. E’ facile capire il motivo per il quale i Veneziani rimasero così a lungo nell’isola. Avevano trovato una nuova isola delle ninfee, come era accaduto ad Ulisse. Ma il commercio e l’amore per la sua città chiamavano il Querini. Molti marinari si accasarono nell’isola e cambiarono totalmente vita, altri invece tornarono a Venezia con il patrizio.
Il 15 maggio del 1432 salparono dall’isola, grazie all’aiuto dei pescatori, e portarono con loro ben 60 stoccafissi per pagarsi il ritorno in patria. Fecero tappa a Trondheim, in Norvegia, e poi verso sud, fino a Vadstena, nell’odierna Svezia, dove trovarono una nave diretta a Londra. Arrivati nella capitale inglese si fecero ospitare dalla potentissima colonia veneziana sul Tamigi. Ripartirono a cavallo, alla volta di Venezia, dove vi giunsero 24 giorni dopo.
Arrivato in laguna diffuse la conoscenza della prelibatezza che aveva conosciuto in Norvegia. Spiegò come il merluzzo essiccato al sole divenisse stoccafisso, dalla parola norvegese stokfiss che aveva imparato nella sua avventura. La conservazione del prezioso pesce era pressoché perfetta e permetteva allo stoccafisso di essere trasportato nelle navi senza perdere il sapore e la bontà. Ecco che il Querini, pur non volendolo, aveva inventato il baccalà che poi divenne pietanza veneziana e veneta per eccellenza. Il baccalà ancora oggi è conosciuto nell’area dell’ex-repubblica Serenissima come il merluzzo essiccato senza l’aggiunta di sale.

Il patrizio veneziano scrisse una lunga relazione del viaggio al Senato con annessa la spiegazione per il trattamento del prezioso pesce. L’impresa fu così grande che l’umanista Giovan Battista Ramusio, qualche anno dopo, scrisse un’opera chiamata Navigazioni e Viaggi, descrivendo pure l’impresa di Pietro Querini.

« Viaggio del magnifico messer Pietro Querini gentiluomo veneziano, nel quale, partito da Candia con un carico di malvasia verso ponente l’anno 1431, incorre in uno orribile e spaventoso naufragio, alla fine del quale, scampato in seguito a diversi accidenti, arriva nei regni settentrionali di Norvegia e Svezia. »

Fonte
Wikipedia

Immagine
http://www.sitoveneto.org
http://www.baccalaallavicentina.it

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