Giovanni Malagò, il concessionario rottamatore che scala il Coni

Martedì 22 gennaio, parrocchia di San Tommaso Moro, Roma. Uno stuolo di giornalisti e avventori ben vestiti si accalca nella sala dell'oratorio. Ci sono i fratelli Vanzina, la canoista Josefa Idem...

Martedì 22 gennaio, parrocchia di San Tommaso Moro, Roma. Uno stuolo di giornalisti e avventori ben vestiti si accalca nella sala dell’oratorio. Ci sono i fratelli Vanzina, la canoista Josefa Idem, il costruttore Claudio Toti e l’onnipotente Gianni Letta. Lì, e non altrove, si è tenuta la conferenza stampa con cui Giovanni Malagò, numero uno del Circolo Canottieri Aniene, battezzava la propria corsa (vincente) alla presidenza del Coni. Un campo da calcetto e uno da pallavolo, una biblioteca e una forestieria per ospitare i genitori dei bambini in cura al vicino Policlinico. In tutto fanno due ettari di terreno che don Andrea Celi, amico di Malagò, ha rimesso a nuovo.

Da lì è partita la campagna elettorale del bello e famoso dominus dello sport romano, che a sorpresa ha battuto il favoritissimo Raffaele Pagnozzi, “l’uomo dell’apparato”, segretario generale del Coni da vent’anni e pupillo del presidente uscente Gianni Petrucci, totem della conservazione. Il conteggio dei voti ha sancito un 40-35 a favore dell’outsider Malagò, con sommo stupore dei presenti e le lacrime del vincitore, subito corso ad abbracciare le figlie Vittoria e Ludovica.

Baci e applausi. Ma chi è Giovanni Malagò? Imprenditore classe 1959 ben inserito nei salotti della Capitale, nonchè ambasciatore della romanzatissima Roma Nord. «Bello, ricco, simpatico, seducente, pariolino doc, mille relazioni importanti. In una leggenda che si arricchisce giorno per giorno, c’è tutto quello che può rendere invidiabile un maschio adulto italiano, all’alba del Duemila», così lo descrive Cesare Lanza.

Cresciuto dalle elementari alla maturità tra le mura del facoltoso collegio San Giuseppe De Merode, Malagò nasce concessionario di auto di lusso: con il padre Vincenzo amministra la Samocar, che distribuisce Ferrari e Maserati. Nel resto del tempo ha fatto parte del cda di Air One e della Fondazione Cinema per Roma, è stato presidente del comitato organizzatore dei Mondiali di Nuoto del 2009 e oggi presiede il Canottieri Aniene, circolo d’elite con 1200 soci che annovera tesserati come Federica Pellegrini e Flavia Pennetta. Nel mezzo una serie di frequentazioni politiche trasversali che spaziano da Corrado Passera a Walter Veltroni, passando per l’imprenditoria di Caltagirone.

Punto di riferimento romano (e romanista) per l’avvocato Agnelli, amico fraterno di Montezemolo (ha organizzato il weekend durante il quale è nato l’amore tra Luca e Ludovica Andreoni), giocava a poker con Carlo Caracciolo e ora si scambia sms con Francesco Totti. Nella sua casa di Sabaudia sono passati Rutelli e consorte, mentre a lui, Giovanni il bello, hanno attribuito flirt con Martina Colombari, Anna Falchi e Monica Bellucci. «Non nego di andare orgoglioso di avere un grande capitale di rapporti umani», come dargli torto?

Adesso però, il concessionario di lusso vuole fare il rottamatore, forte del suo programma (una sessantina di pagine) e della clamorosa vittoria contro quello che era l’uomo di Petrucci per la poltrona di numero uno dello sport italiano. Malagò insiste sul fatto che «per essere indipendenti non si può vivere solo sui soldi pubblici, ma bisogna puntare anche sui privati». Il fiore all’occhiello, neanche a dirlo, è il suo Canottieri Aniene: «in tredici anni ho portato il circolo a sostenersi con le quote dei soci e oggi anche di diciannove sponsor».

Poi c’è il calcio, la cui «sottocultura negli ultimi 20 anni ci ha creato enormi danni di immagine» e per questo «con me non avrebbe posto in Giunta, non sarà nel mio governo». Eppure, rimprovera Malagò, nel mondo del pallone «il Coni doveva fare qualcosa per la legge sugli stadi, una vergognosa, ridicola situazione». Infine lo sport di base, perché il nuovo liceo sportivo non basta, «servono quattro miliardi di euro per rendere agibili gli ambienti».

Tutto è cominciato dalla Parrocchia di San Tommaso Moro, dal momento che «l’oratorio dev’essere l’architrave del sistema sportivo, senza, si sbriciola l’intero sistema». Ora c’è da salvare la cattedrale dello sport italiano, magari in collaborazione con il prossimo governo e con l’amica Josefa Idem che, candidata al Senato col Pd, pare sia destinata ad occupare la poltrona del prossimo ministero dello Sport.

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