La schiena di GinoIran, il “gattopardo” presidenziale

In Iran, a giugno i cittadini della teocrazia islamica saranno chiamati a eleggere il successore di Mahmoud Ahmadinejad. Ormai è certo - come riporta la tv di stato iraniana - che le opposte candi...

In Iran, a giugno i cittadini della teocrazia islamica saranno chiamati a eleggere il successore di Mahmoud Ahmadinejad. Ormai è certo – come riporta la tv di stato iraniana – che le opposte candidature dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani e del delfino dell’attuale presidente, Esfandiar Rahim Mashaei, sono state escluse dal Consiglio dei Guardiani dalla corsa alle presidenziali.

Soltanto 8 delle 686 candidature sono state accettate dai dodici membri tra teologi e giuristi che compongono l’istituzione rivolta a preservare lo zelo rivoluzionario. Al di là delle differenti sensibilità degli uomini che si contenderanno il potere, tra cui ci saranno il capo-negoziatore sul programma nucleare, Saeed Jalili, e l’ex Ministro degli Esteri, Ali Akbar Velayati, è evidente il tentativo della Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, di regolare i conti sia con i riformisti (che guardavano a Rafsanjani), sia con i populisti (che facevano affidamento su Mashaei).

Con una abile mossa di ingegneria elettorale, il ceto giuridico-teocratico che governa il Paese riesce a mantenere – in una configurazione staliniana – ancora saldo il suo potere. In tale prospettiva, suona tristemente profetico il senso del lungo discorso che Don Fabrizio, il principe di Salina, fa al cavaliere Chevalley, sceso in Sicilia per cercare la classe dirigente del nuovo Regno d’Italia. Come ne Il Gattopardo, così anche in Iran è assai probabile che «tutto cambia», anche i candidati alle elezioni presidenziali, «affinché nulla cambi».

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