Avenida BrasilDilma parla al Brasile ma le proteste non si fermano

È come se un torrente in piena avesse improvvisamente rotto gli argini. Nel dodicesimo giorno di proteste in tutto il Brasile (un paese continente grande 30 volte l'Italia) è ormai evidente che in ...

È come se un torrente in piena avesse improvvisamente rotto gli argini. Nel dodicesimo giorno di proteste in tutto il Brasile (un paese continente grande 30 volte l’Italia) è ormai evidente che in gioco ci sono i futuri equilibri politici del paese, che nell’ultimo ventennio ha conosciuto una inedita stabilità politica, che ha a sua volta favorito la grande crescita economica che ha consentito a oltre 30 milioni di persone di uscire dalla povertà, e che ora rivendicano voce in capitolo in una società che non ha adeguato le sue strutture al mutato profilo della sua popolazione.

Se ne è resa conto per prima Dilma Rousseff, la presidente in carica e candidata favorita (fino a ieri, almeno) alle elezioni presidenziali dell’ottobre 2014, la pupilla di Lula, uscita dall’anonimato di un posto di governo di seconda fila nell’esecutivo dell’ex sindacalista grazie a una straordinaria capacità di lavoro e autodisciplina, dalla storia immacolata di tecnocrate capace e avversaria della dittatura militare, dalla quale fu imprigionata e torturata in remoti anni giovanili.

Nemmeno la sua biografia, neanche il suo profilo di incorruttibile però l’ha messa al riparo dall’onda di proteste che, improvvisa e sorprendente per tutti gli osservatori, scuote il paese da quasi due settimane.

In un discorso alla nazione trasmesso a reti unificate venerdì sera Dilma ha fatto appello alla sua storia personale, aprendo al dialogo con i manifestanti, riconoscendo la legittimità della protesta e tentando di imprimere una svolta alla sua gestione, ma è evidente che ciò che la muove – cosa incredibile a dirsi fino a poco tempo fa, quando l’indice di gradimento del suo governo viaggiava a livelli record – è il timore di presentarsi all’inizio della campagna elettorale come l’obiettivo da abbattere da parte di un movimento che continua a crescere.

Innescato dall’aumento delle tariffe dei trasporti urbani nelle principali città (aumento in realtà da lungo tempo annunciato, e rinviato per un’operazione di “cosmesi” dei conti pubblici al fine di non gravare ulteriormente su un tasso di inflazione che da diversi anni è il lato negativo della crescita), il movimento si è ben presto trasformato in una critica radicale alle fondamenta del modello di convivenza sociale brasiliano, troppo lento nell’aprirsi alle istanze della nuova classe media.

Perché di fronte ai commenti che (uguali e contrari ai tanti editoriali trionfalistici letti fino a pochi mesi fa) tratteggiano un paese sull’orlo dell’abisso, va ribadito che ciò che accade sotto i nostri occhi è una crisi di crescita.

I brasiliani che vanno in piazza a centinaia di migliaia sono quelli che più hanno beneficiato della stabilità e della crescita dell’ultimo ventennio. Il loro sviluppo economico, sociale e culturale si scontra ora con le rigidità di una società non ancora attrezzata per soddisfare le aspirazioni che quella crescita ha nutrito. Con la scarsità di risorse di un paese che continua a presentare forti carenze in tanti servizi pubblici essenziali.

Per lunghi anni i brasiliani delle classi medio basse hanno dato per scontato che dallo stato non ci fosse nulla da aspettarsi. Sociologi e psicologi sociali brasiliani hanno studiato ed analizzato le caratteristiche di resilienza e determinazione di ampie fasce della popolazione che sono cresciute in questi anni affrontando senza nessun aiuto difficoltà di ogni tipo, lavori duri e poco remunerativi, servizi pubblici scadenti (tra cui appunto i trasporti pubblici), istruzione universitaria che solo per i ricchi (paradossalmente) è di qualità e gratuita, mentre per le classi popolari è cara e scadente. Perché in Brasile, non dimentichiamolo, le università migliori sono quelle pubbliche, gratuite, per questo richiestissime. Per ovviare alla carenza di posti l’accesso è subordinato ad una prova d’ingresso nazionale molto selettiva, in cui hanno buon gioco i figli delle classi benestanti, che dall’asilo al liceo frequentano scuole d’élite, private e carissime.

All’improvviso, complice l’economia che rallenta, il palcoscenico internazionale offerto dalla Confederations Cup, i costi esorbitanti delle manifestazioni sportive (pure fino a ieri parte della grande operazione di “branding” territoriale sinergica alla crescita economica), l’onda di antipolitica innescata da recenti scandali di corruzione, tutto ha cospirato per determinare contro Dilma quello che il quotidiano Estado de S. Paulo ha definito nell’editoriale di ieri il suo “inferno astrale”.
Mentre Lula continua, ostinatamente, a smentire ogni ipotesi di un suo ritorno in campo per le elezioni del prossimo anno, è evidente che la strada della rielezione per Dilma si è fatta molto accidentata.

@diegocorrado

(nella foto, manifestanti assediano il Palacio do Planalto, sede della presidenza della repubblica, a Brasilia)

Diego Corrado è autore di BRASILE SENZA MASCHERE. POLITICA, ECONOMIA E SOCIETA’ FUORI DAO LUOGHI COMUNI, Università Bocconi Editore