In pochi mesi, ammettiamolo, lo scenario è completamente cambiato.
(nella foto, la Presidente Dilma Rousseff dichiara aperta la manifestazione, accanto a Joseph Blatter, Presidente della FIFA, sabato sera a Brasilia; i presenti hanno riservato fischi ad entrambi)
La Confederations Cup, Copa das Confederações nell’idioma locale, doveva essere per il Brasile il preludio alla grande festa che aspetta tutto il mondo da qui a un anno, quando il Mondiale 2014 darà il calcio d’inizio nel paese che per tutti noi è il simbolo di quello sport.
“La Coppa torna a casa”, titolavano i giornali all’indomani dell’assegnazione al Brasile dell”organizzazione della Coppa del Mondo Fifa 2014, un’allusione che non si riferiva tanto all’edizione 1950, svoltasi effettivamente nel paese verdeoro, ma che tutti preferiscono dimenticare, visto il suo esito infausto per i padroni di casa, bensì alle cinque coppe che la Seleçao si sarebbe aggiudicata in seguito. Tre con Pelé (le prime due in coautoria con Garrincha, non scordiamolo), una con la coppia Bebeto-Romario, l’ultima in Giappone con Ronaldo.
Poi, negli ultimi mesi, è successo qualcosa. L’economia che rallenta, l’inflazione che rialza la testa, la moneta che perde posizioni contro il dollaro, la vita quotidiana che – nonostante le mirabolanti promesse degli anni scorsi – continua dura e faticosa come sempre, per milioni di appartenenti alle classi medio basse, condannati a un pendolarismo eroico, fino a quattro ore al giorno per attraversare metropoli congestionate a bordo di mezzi obsoleti e superaffollati.
Ecco che allora le spese per impianti sportivi faraonici non appaiono più come il viatico alla consacrazione intenrnazionale del paese, ma un intollerabile spreco che sottrae risorse alle proprie necessità quotidiane, come appunto i trasporti pubblici che non solo continuano a essere scadenti, ma anzi al tempo stesso rincarano.
Il resto è storia di questi giorni. Approfittando della visibilità offerta dalla Confederations Cup, i manifestanti si danno quotidianamente appuntamento fuori degli stadi dove si svolge la “festa”, a rimarcare l’alterità tra una celebrazione riservata a pochi (carissimi biglietti di ingresso, come bibite e snack venduti negli stadi) e la durezza della vita quotidiana dei meno fortunati. Incidenti si sono svolti sia prima della gara d’apertura, tra Brasile e Giappone a Brasilia, sia prima del match d’esordio degli azzurri, quello contro il Messico al Maracanã.
(nella foto, il fumo dei lacrimogeni sullo sfondo del Maracanã, domenica sera a Rio)
Innescati da rincari evidenti ma non drammatici (da 3 a 3,20 reais il riaggiustamento annunciato a San Paolo, in linea con tante altre capitali), il movimento di protesta dilaga e si rafforza, la reazione sproporzionata della polizia getta benzina sul fuoco, le immagini dei manifestanti feriti radicalizzano gli animi, come le notizie dei giornalisti aggrediti e arrestati.
Ora il movimento si allarga e si organizza, i gruppi sorti spontaneamente si coordinano con l’ausilio di web e social network creando reti di aiuto ai manifestanti (vd. foto sopra), trovano sponde politiche, acquistano visibilità nel paese e oltre.
Dilma Rousseff, fischiata durante il discorso di inaugurazione sabato sera allo stadio Mané Garrincha di Brasilia, certo immaginava un esordio diverso.
Sbaglia però chi dipinge un futuro a tinte fosche per il Brasile, così come sbagliava chi – fino a pochi mesi fa – profetizzava una marcia trionfale verso traguardi sempre più luminosi. Congiuntura e ciclo economico esistono per tutti, e i problemi secolari del paese non sono spariti, non spariranno con un tocco di bacchetta magica. E tuttavia, come diceva Mao, per restare in ambito BRIC, ogni lungo viaggio inizia con un piccolo passo.
@diegocorrado
Diego Corrado è autore del libro BRASILE SENZA MASCHERE. POLITICA, ECONOMIA E SOCIETA FUORI DAI LUOGHI COMUNI, Università Bocconi Editore (qui indice e prefazione, qui la pagina Facebook).