Quando parlo o scrivo di Brasile sto sempre molto attento a non indulgere negli stereotipi che in tutti noi quel paese evoca. Raramente quindi mi occupo di calcio, samba, carnevale.
Alla vigilia dell’apertura della Copa das Confederações, preludio ai mondiali del prossimo anno, non è però fuori luogo interrogarsi sul significato del calcio nella cultura popolare di quella nazione. Sul tema ha scritto pagine bellissime José Miguel Wisnik, docente di letteratura alla USP e autore qualche anno fa di Veneno Remédio. O Futebol e o Brasil, un saggio denso e profondo sul significato e l’importanza del calcio nella società e nella cultura brasiliane.
Wisnik apre il suo lavoro sottolineando la singolarità del fatto che gli Stati Uniti, superpotenza economica egemone nel corso degli ultimi decenni, siano un nano quanto a forza calcistica. In una delle pagine più rivelatrici del suo lavoro osserva che nel baseball, nel football americano, nel volley, nel basket, nel tennis si verifica una serie alternata di attacchi e difese, di confronti spezzettati, individuali o collettivi, che progressivamente si concretizzano in giocate azzeccate o meno, che a loro volta si traducono nel punteggio. Nel calcio, al contrario, abbiamo una sequenza continua e indefinita di alternative nelle quali l’avanzare nello spazio è un fatto tra tanti, c’è grande alternanza nel possesso di palla tra le squadre avversarie, un margine amplissimo di fatti contingenti e di irriducibilità ai programmi preventivamente decisi a tavolino. E mentre queste caratteristiche rendono il calcio incomprensibile al pubblico statunitense, per il resto del mondo la sua essenza così deformalizzata e aliena agli schemi ne ha fatto l’ideale campo di confronto tra gruppi, comunità e paesi del globo intero.
Il calcio offre così una contropartita simbolica all’egemonia dell’immaginario nordamericano, segnalando con questa una falla nella sua spinta totalizzante, nella quale il Brasile emerge come potenza incontrastata, ammirata in tutto il mondo per il genio dei suoi campioni, che – sebbene le differenze vadano sempre più assottigliandosi – praticano un calcio unico, tutto genio e fantasia, diverso da quello muscolare e organizzato degli europei. Il calcio non è l’unico campo nel quale i brasiliani danno prova di creatività, estro e capacità di improvvisare. Le traversie che il paese ha attraversato nel corso della sua storia, che in questo libro abbiamo ripercorso nelle sue tappe principali, hanno plasmato in maniera inequivocabile il modo di essere dei suoi cittadini, e non è un caso se i brasiliani si distinguono in numerosissimi campi di attività dove innovazione, tenacia, fantasia, capacità di reagire all’imprevisto costituiscono fattori strategici di successo.
Nel linguaggio popolare del resto abbondano le espressioni, per lo più intraducibili, con cui in Brasile si indica l’arte di arrangiarsi, di improvvisare, di cavarsi d’impaccio nelle più disparate situazioni con astuzia e ingegnosità, come ginga, jeitinho, jogo de cintura, se virar. Che si tratti di un morador de rua alle prese con la difficile arte del sopravvivere ai margini di una megalopoli, di un creativo che si fa strada nel difficile mondo del design, di un finanziere che opera nei mercati globali dopo essersi formato alla scuola dell’iperinflazione, questa è una componente del carattere nazionale che costituisce certamente un punto di forza del sistema Brasile.
@diegocorrado
(il brano è tratto da BRASILE SENZA MASCHERE. POLITICA, ECONOMIA E SOCIETA’ FUORI DAI LUOGHI COMUNI, in libreria da maggio per i tipi di Università Bocconi Editore – qui indice e prefazione)