Ormai è un classico: dalle colonne di blasonate testate o dagli schermi televisivi nel corso di trasmissioni di approfondimento politico-economico leggiamo e ascoltiamo le miracolose ricette di un coraggioso drappello di accademici per salvare l’Italia. E da chi va salvata l’Italia? Dalla mafia? Dal degrado ambientale? Dagli scandali della politica? Dal razzismo neanche troppo strisciante? Niente affatto. L’Italia va salvata dalla burocratizzazione, ovvero l’oppressione del corpo sociale mediante soffocanti lacci e lacciuoli regolamentari (Panebianco). Dalla burocrazia inossidabile (Giavazzi). Dai dirigenti della Pubblica Amministrazione che sono troppo spesso corrotti o semplicemente ignavi (Ricolfi). E dalla burocrazia arrogante (Ichino).
Siamo arrivati, per farla breve, alla applicazione della categoria del nemico oggettivo propria dei regimi totalitari. Colpevoli a prescindere: i dipendenti pubblici sono inefficienti e, soprattutto, troppi e troppo costosi. Si divertono a complicare la vita al cittadino che paga le tasse e vivono nel lusso più sfrenato. E non basta: i dirigenti (maledetti!) tengono in ostaggio Ministri e politici, ormai in balia dei sacerdoti del codicillo, depositari del Sapere e veri artefici della vita degli Italiani, ridotti a sudditi.
Ehm.
Dunque, le cose qui son due. O la soluzione è spianare con le ruspe ogni edificio che riporti sopra l’entrata lo stellone della Repubblica o la si fa troppo semplice. E quando si parla di cose complesse, semplificare ad ogni costo equivale a banalizzare. Io sono un burocrate. Lo sono e non me ne vergogno affatto, e so bene che la macchina amministrativa italiana, come tutte le macchine amministrative dei grandi Paesi occidentali, è qualcosa di complicato e stratificato, composto da tanti microcosmi che nel tempo sono stati messi in piedi per soddisfare un qualche bisogno pubblico. Anche i sassi sanno che in molti casi il processo è stato viziato dalle tante manine che, per dirne una, hanno imbucato gli amici degli amici ma, al netto delle degenerazioni, la crescita dei compiti e delle funzioni segna il passaggio da uno Stato liberale ad uno democratico e sociale. E poi, almeno qualche dato: una recente ricerca ha dimostrato che in Italia abbiamo meno dipendenti pubblici, in numeri assoluti ed in percentuale, che in Francia e in Gran Bretagna, che mi sembrano Paesi di una qualche solidità democratica ed economica.
Va tutto bene, Madama la Marchesa, allora? No, e lo sanno gli stessi amministratori pubblici. Anzi, la P.A. soffre di un deficit di servizi offerti ai cittadini che è uno dei problemi dell’efficienza del Sistema Paese. Quello che io contesto ai nostri pugnaci accademici è di mancare il bersaglio, evidentemente guidati da pregiudizi duri a scalfire. Intanto perché continuano a non mettere in conto che la pubblica amministrazione (meglio, le pubbliche amministrazioni) sono fatte in primo luogo e soprattutto da persone che, al pari di tutti i lavoratori, vanno formate, valutate, motivate. Non basta un taglio qua o un risparmio là per far marciare le cose al meglio. Non vale per Fiat, non vale per Microsoft, non vale per la P.A. E poi, aguzziamo la vista: quando leggo che “la burocrazia continua a produrre norme e procedure, particolarmente complicate e lente” per alimentare se stessa (Deaglio), non posso che trasecolare. Se vogliamo cominciare ad aggredire il problema del funzionamento complessivo del Paese, e non solo della pubblica amministrazione, dovremmo iniziare a ragionare – professori, amministratori, politici, cittadini – sul come si fanno le leggi in Italia e, soprattutto, sull’incontrastabile dogma che fatta la legge, risolto un problema. O Governo e Parlamento vivono sulla Luna?
E ancora. Quando si indica negli “alti burocrati” che detengono i sacri tomi del Necronomicon amministrativo la zeppa che inceppa gli ingranaggi dello Stato, va fatta una precisazione. Ammesso che sia effettivamente vero che questi tecnostregoni nelle oscure stanze dei Ministeri passino il tempo a mescolare nei loro calderoni pozioni che donano loro un immenso potere, si dica almeno chi sono costoro. I capi dei gabinetti o degli uffici legislativi nella stragrande maggioranza dei casi non sono dirigenti di ruolo. Essi sono rappresentanti delle magistrature amministrative e contabili. Consiglieri di stato, magistrati dei Tar, giudici della Corte dei Conti che rappresentano l’eccellenza della cultura giuridica Italiana. Gente che conta. Il punto è un altro. Come mai si trovano a dirigere i Ministeri? Chi li chiama, sempre e comunque, ad ogni tornata di Governo, di fatto sempre gli stessi, tutti appartenenti a questo esclusivissimo club? E non desta un qualche refolo di sospetto che a dispetto dei tagli ai numeri dei dirigenti di ruolo, vincitori di concorso, in ossequio alle esigenze della spending review, ci si guardi bene dal toccare le quote riservate ai dirigenti in quota esterna, a chiamata politica?
Le vittime di questo pensiero unico sono illustri. Quando il Sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni, facendosi paladina di un’efficienza tutta intrisa di privato buono, racconta scandalizzata all’assemblea del suo partito che al Ministero ci sono uscieri che le dicono buongiorno e buonasera o che in una riunione tecnica di ben dieci persone le dicono che determinate procedure hanno i loro tempi, ella non si chiede chi ha messo là quegli uscieri (razza ormai estinta) o perché quelle procedure sono lunghe, a tutela di chi e scritte da chi. Se la prende, sic et simpliciter, con la pubblica amministrazione ammortizzatore sociale che non farà mai cambiare l’Italia. Amen. Ite, missa est.
Vi domando: ma noi nefasti burocrati non siamo cittadini Italiani? Non facciamo parte della stessa comunità nazionale? Quando appendiamo la giacca – e soprattutto quando la indossiamo – non siamo parte della stessa squadra? Ricordatevelo ogni tanto, perché i manicheismi da tutto bianco/tutto nero non aiutano. Di prove muscolari ne abbiamo viste tante negli ultimi anni. Servirebbe una discussione seria fra persone serie, con scelte anche coraggiose che però abbiano in mente una diversa concezione dell’amministrazione in Italia. Non una fastidiosa zavorra di cui disfarsi, ma una risorsa per lo sviluppo da far funzionare al meglio. È una faticaccia, lo so: e io ho una fiacca addosso che Signora mia….