Nel dicembre 2012, il Time dedicava la propria prestigiosa copertina a Mohamed Morsi. Anzi il Presidente egiziano era addirittura definito, l’uomo più importante del Medio Oriente. Sono passati soltanto pochi mesi e sulle rive del Nilo è cambiato tutto. Dopo il risveglio di Piazza Tahrir e l’ultimatum di 48 ore dell’Esercito, la fortuna politica dell’esponente dei Fratelli Musulmani – che già al tempo della sua elezione aveva restituito la fotografia di un Paese diviso a metà – sembra ormai irrimediabilmente compromessa. Anche il Premier e alcuni ministri hanno rassegnato le dimissioni. Dopo aver aspettato per lunghi decenni di prendere il potere, il partito della fratellanza Libertà e Giustizia ha dilapidato il patrimonio politico che aveva acquisito al momento del voto. Il nuovo ‘faraone’ è sempre più solo.
Sul suo destino pesa l’intrecciarsi di fattori politici, economici e sociali assai differenti. Come si concluderà la spinosa vicenda non è ancora sicuro. Occorre, però, riflettere su due elementi tra loro interconessi e assai importanti, che (forse) rimarranno costanti ancora per lungo tempo. Da un lato, emerge l’infausto destino del Presidente. Dopo i lunghi ‘regni’ di Nasser, Sadat e Mubarak, la figura del Capo dello Stato sembra sottoposta – con tempi di erosione sempre più veloci – a una notevole caducità. Nell’Egitto democratico, le trasformazioni politiche possiedono tempi di accelerazione sempre più rapidi. E – in un’inedita maledizione del Faraone – sembrano poche le aspettative di vita che si possono riporre nella figura apicale del potere. La popolazione – segnata da forti linee di frattura al suo interno – è onnivora di risposte positive e concrete alle aspettative della vita reale. Dall’altro lato, appare evidente (e, per molti versi, non inaspettata) la vischiosità e la forza dell’Esercito. Un’istituzione che mostra la sua notevole capacità adattiva. Da fattore imprescindibile del regime di Mubarak, i militari – assai più delle oceaniche manifestazioni di piazza – sembrano ormai destinati a ricoprire il ruolo di ‘guardiani’ laici della rivoluzione.