Al centro delle polemiche c’è sempre lui. Claudio Scajola. Dagli scandali della gestione del G8 di Genova, ai voli ad personam sulla linea Fiumicino-Albenga. Per non tacere della casa al Colosseo acquistata “a sua insaputa”. Una lista di gaffe e scivoloni così lunga da giustificare ormai un’accusa permanente. Negli anni l’ex ministro è diventato responsabile “a prescindere”. Non contano le spiegazioni. Qualsiasi cosa accada nelle sue vicinanze, ne è il colpevole. Se possibile con infamia.
L’ultimo scandalo riguarda una misteriosa anfora romana. La storia – che ben si presta alle cronache estive – è sui principali giornali italiani. Un paio di giorni fa i carabinieri di Alassio hanno rinvenuto l’antico manufatto nel corso di una perquisizione nell’abitazione di Scajola. Un atto dovuto, collegato a un’inchiesta della procura di Savona sul trafugamento di alcuni beni archeologici dalle acque liguri. Adesso l’ex ministro – la cui posizione è al vaglio dell’autorità giudiziaria – sarebbe indagato per l’acquisto di reperti trafugati. E poco importa se è stata la stessa Soprintendenza archeologica a chiedere alla famiglia Scajola – che ne aveva chiesto l’intervento – di custodire il reperto in attesa di specifiche “determinazioni”.
Claudio Scajola e le anfore rubate. La storia si scrive da sola. E chi se ne frega se la spiegazione fornita dall’indagato lo scagiona senza troppi dubbi. Immancabile, ecco il beffardo articoletto che inchioda il politico alle sue responsabilità. «Un’altra bella notizia – scrive stamani il Quotidiano Nazionale – Nella casa dell’ex ministro è stata rinvenuta un’antica anfora romana. Certamente l’anfora stava lì a insaputa dell’uomo politico, notoriamente distratto in tema di faccende domestiche».
Intendiamoci, nessuna simpatia personale per Claudio Scajola. Ma è possibile che sia sempre colpa sua? Non si tratta di garantismo, semmai di logica. Anche perché nelle ore successive al presunto scandalo, ecco spuntare un documento che scagiona l’ex titolare del Viminale. Un verbale d’ispezione datato 24 ottobre 2003, compilato dalla Soprintendenza archeologica della Liguria «a seguito della denuncia» della moglie dell’ex titolare del Viminale.
Analizzata l’anfora «in condizioni di conservazione ottime», il responsabile si premura persino di chiedere alla famiglia Scajola «di custodire il reperto con ogni cura in attesa delle determinazioni della Soprintendenza». A questo punto diventa difficile immaginare che l’ex ministro, preso da rimorsi di coscienza per aver acquistato un bene archeologico trafugato, abbia chiamato le autorità per autodenunciarsi.