«Non faremo passi indietro su abolizione finanziamento pubblico partiti». Intransigente, il presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta annunciava così il 22 luglio scorso, su twitter, il suo monito al Parlamento. «Il ddl che abbiamo presentato è una buona riforma. Perché bloccarlo?».
Già, perché? La domanda andrebbe girata ai gruppi parlamentari che a Montecitorio stanno cercando di trovare un’intesa sul provvedimento. Infatti, il disegno di legge è stato rimandato a settembre. Assieme alla legge sull’omofobia.
La pausa estiva incombe, il tempo a disposizione per un confronto ragionato non c’è. Meglio posticipare. E dire che Letta la considerava quasi una questione personale. Tempo fa era persino arrivato a minacciare il Parlamento: senza una rapida approvazione, a settembre il governo varerà un decreto ad hoc. Chissà se a Palazzo Chigi ci stanno già lavorando.
Intanto l’approdo in Aula del ddl slitta al prossimo mese. E a nulla è servita la richiesta dell’opposizione – così ha raccontato al termine della riunione dei capigruppo il grillino Riccardo Nuti – di affrontare l’argomento in una seduta fiume tra giovedì sera e venerdì. Per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, bisogna attendere ancora un po’.