Se qualcuno volesse recuperare un bel reportage della mattinata del 20 Settembre 1870 a Roma potrebbe leggere le pagine ad essa dedicate da Edmondo De Amicis. Era, secondo l’autore, una bella giornata di tarda estate e splendido, da quella parte della città, il sistema di ville e giardini che contornava le mura già a partire da Sant’Agnese. I pontifici calarono sulle mura dei grandi materassi per diminuire l’effetto delle cannonate ma i moderni cannoni del IV corpo d’armata italiana comandata da Raffaele Cadorna, uno dei pochi generali cattolici dell’esercito regio, non ci misero molto a far crollare il grande e antico muro che difendeva Porta Pia. Più difficile e sanguinoso l’assalto alla baionetta dei bersaglieri a cui si opposero da posizioni riparate i mercenari pontifici. Dall’altra parte della città le batterie di Nino Bixio, uno dei generali del corpo d’armata, anche senza ordine esplicito del comando generale avevano rabbiosamente aperto il fuoco. Ci voleva molto meno per convincere Papa Mastai Ferretti, Pio IX, a cessare ogni ostilità e già a sera tutto l’esercito italiano era entrato in Roma accolto con entusiasmo dal popolo mentre i palazzi delle grandi famiglie papaline chiudevano i portoni. Li avrebbero tenuti chiusi per molti anni.
Già da subito il significato politico dell’operazione, che dava all’Italia la sua storica capitale, prevalse su qualsiasi altra considerazione e fino alla conciliazione del 1929 il 20 Settembre fu festa nazionale. Paolo VI dichiarò negli anni ’60 ai margini del Concilio che la Chiesa si era allora “liberata di un peso”. Il concetto era già diffuso negli ambienti cattolici che anzi avevano visto sempre più svilupparsi il messaggio ecclesiale dopo la perdita delle responsabilità politiche e amministrative di un ampio territorio italiano.
Il ricordo di questa vicenda che ha un significato molto importante nella storia dell’Italia contemporanea si va perdendo nell’ignoranza generale e mi è capitato recentemente che l’assessore di un comune non piccolo ritenesse il 20 Settembre la data della festa del fungo e non ricordasse il risvolto storico fondante la sua stessa posizione politica. D’altronde qualche anno fa il 20 Settembre a Roma era stato celebrato dall’allora ministro della Difesa inneggiando alla divisione nembo della Repubblica sociale che si era distinta per essersi aggregata ai tedeschi dopo aver ammazzato il proprio comandante. D’altronde in quella stessa manifestazione il capo di Stato maggiore dell’esercito italiano, a scopo non si sa bene se di conciliazione postuma, aveva citato, uno per uno, i pochi mercenari del Papa morti in quell’occasione tralasciando i bersaglieri. Peraltro, il Presidente dei bersaglieri in congedo non aveva detto nulla anzi aveva anch’esso biascicato qualche parola conciliativa non si capiva bene con chi.
Dunque resta a noi, se ci riusciamo, ricordare quella bella giornata dell’estate romana e quella bellissima città di allora. Ricordare la gioia degli ebrei solo da quel momento liberati dal ghetto dove venivano rinchiusi a partire dalle sette di sera e tutto quanto da allora, con molta lentezza, portò il nostro Paese a un livello di civiltà moderna ed europea.
Il Concordato del ’29 e la conseguente costituzione dello stato del Vaticano hanno rappresentato qualche passo indietro rispetto alla tradizione risorgimentale non corretto dalla revisione del 1984: i paesi democratici moderni non fanno in genere nessun concordato con le istituzioni religiose perché la libertà è garantita a tutte senza differenza e senza vantaggio anche per quelle che sono prevalenti nella società.
Oggi assistiamo al sostanziale oblio della data del 20 Settembre e del suo significato storico e politico. Sembrerebbe cosa poco grave nell’enorme confusione politica e costituzionale che stiamo attraversando ma è invece nello stesso tempo causa ed effetto di tutto ciò. Dovrebbe essere praticata una riflessione dagli uomini più pensosi e da tutti coloro che ritengono la Storia elemento sostanziale della vita di un popolo. Ce ne sarà ancora qualcuno?
19 Settembre 2013