Sei giornalisti scientifici Marco Cattaneo, Salvo Di Grazia, Emanuele Menietti, Alice Pace, Antonio Scalari e Silvia Bencivelli hanno sottoscritto dieci domande rivolte alla redazione de “Le Iene” e in particolare a Giulio Golia sul caso Stamina.
I cronisti, che in questi mesi hanno studiato nel profondo la vicenda, chiedono spiegazioni precise alla popolare trasmissione televisiva di Italia 1 per il ruolo che hanno giocato nella diffusione della controversa terapia. Perché scrivono: “se il caso Stamina esiste è perché le Iene hanno dato una straordinaria visibilità alla vicenda operando alcune scelte che per noi, che in qualche modo siamo loro colleghi, sono tuttora difficili da capire. Nei loro servizi televisivi sono stati omessi molti aspetti della storia, compresi quelli più inquietanti e legati al lavoro della magistratura. Sono stati mandati in onda bambini sofferenti, a dispetto di regolamenti e protocolli sull’impiego dei bambini in tv.”
Il metodo Stamina è un cocktail a base di cellule staminali ideato da Davide Vannoni (Vannoni non è medico, ha una laurea in lettere e insegna Psicologia all’Università di Udine) e somministrata per la cura di numerose malattie altrimenti senza speranza. Tale metodo è salito alla ribalta mediatica soprattutto grazie ad alcuni servizi strappalacrime, realizzati per le Iene da Giulio Golia, sulla piccola Sofia la bambina livornese affetta da una sindrome neurodegenarativa che la porterà alla morte nel giro di pochi anni. Secondo i suoi genitori, Sofia avrebbe tratto giovamento dal metodo Stamina, ma le cure erano state sospese dal Ministero della Salute.
In seguito all’inchiesta delle Iene, le autorità italiane sono state travolte dalle proteste, mentre i giudici con diverse sentenze autorizzavano la ripresa della cura per alcuni malati. Sotto pressione il Ministro Balduzzi firma d’urgenza un decreto per autorizzare l’impiego di Stamina nei confronti dei malati già in cura.
Parallelamente però, si alzava la voce critica dei ricercatori di tutto il mondo fra cui il Premio Nobel Shinya Yamanaka: il nuovo metodo, infatti, era arrivato ai malati senza passare per i test clinici e le sperimentazioni necessarie. Le ricerche di Vannoni restavano e restano avvolte dall’oscurità, non si conosce il modo in cui sono state ottenute le staminali e non è possibile verificare in maniera indipendente i presunti risultati miracolosi della cura. L’unico studio disponibile in questo senso è stata realizzato da un ospedale di Trieste e ha concluso che “il trattamento non ha portato a nessun cambiamento nel decorso della malattia”.
La Stamina Foundation è da tempo nel mirino della magistratura, in particolare del pm torinese Raffaele Gauriniello che ha condotto diverse inchieste su Vannoni e altre 11 persone. Accuse pesanti come associazione a delinquere, truffa e somministrazione di farmaci pericolosi per la salute pubblica. A far partire le indagini, la denuncia dei pazienti aggravati dopo aver usufruito della cura.
Ora i sei giornalisti che hanno seguito e scandagliato l’intera vicenda chiedono alle Iene di mettere da parte le lacrime e l’audience e raccontare ai telespettatori anche i lati oscuri del caso Stamina: chiedere a Vannoni di rendere pubblico il metodo per permettere a tutti i malati di poterne giovare; mostrare altre persone –oltre ai bambini– curate grazie a Stamina in questi anni; dare voce ai genitori che hanno rifiutato la cura; approfondire i metodi di ricerca; utilizzare bambini colpiti da malattie che non potrebbero rientrare comunque nella sperimentazione ministeriale (come ammesso dallo stesso Vannoni); perché non hanno parlato delle indagini compiute dalla magistratura; perché non hanno interpellato i pazienti che hanno dato il via alle indagini della Procura di Torino; perché sono state omesse le perplessità della scienza internazionale. Si chiede anche perché non hanno spiegato cosa prevede la normativa sulle cure compassionevoli (invocata per autorizzare il metodo Stamina ma non valida dato che le cure possono essere ammesse solo “se sono disponibili dati scientifici che ne autorizzano il trattamento”) e infine, l’ultima, durissima domanda: cosa diranno alle famiglie e all’opinione pubblica se si scoprirà che la cura è tutt’altro che efficace?