La Comunicazione in Italia funziona così:
gli amici sono bravissimi, grandissimi. Si sprecano le affettuosità reciproche (“Sei un genio!” “No, TU sei un genio!”) e si lodano (= gli si lecca il culo) in ogni occasione. I nemici vanno insultati, criticati anche senza argomentazioni. Distrutti a prescindere. Non sono dei nostri, per cui si fottano. Questo vale in qualsiasi aspetto della Comunicazione, ma ovviamente soprattutto in quella politica. Se non la pensi come loro (dove loro sono di destra, grillini e di sinistra, anche se questi ultimi fanno le anime candide e si indignano – quando tocca a loro of course) sei un nemico da abbattere, secondo le logiche da tifoseria da stadio.
Ora, io non voglio negare che le amicizie e la costruzione di rapporti non faccia parte del nostro lavoro. Certamente fanno parte delle Pubbliche Relazioni, e non è certo mia intenzione negarne l’importanza. Ma c’è anche una parte strategica, di pianificazione, in cui non basta essere in buoni rapporti con i giornalisti e gli influenzatori. E questo in Italia non esiste, non è contemplato. E credo sia per questo motivo che la Comunicazione in Italia sia considerata così dilettantesca e improvvisata. Perché se si considerano solo le amicizie non si riconosce alcuna professionalità, e si avvalora il pregiudizio secondo cui la Comunicazione sia aria fritta.
Fortunatamente nel mio settore (il web marketing) ci sono dati molto precisi per calcolare il rendimento dalle attività svolte (il ranking sui motori di ricerca, il costo per conversione della pubblicità sui social network e su Google Adwords. Ma ci sono molte attività difficili da misurare: la più faticosa di tutte, e purtroppo la meno remunerativa, è stillare piani di Comunicazione. E poi scrivere post, articoli, comunicati stampa. Ma la professionalità non verrà riconosciuta se non avete le amicizie giuste.