Quello che come cittadino Italiano mi sconvolge non è tanto l’evidente malafede di chi scientificamente getta fango sui milioni di lavoratori pubblici: con realismo so bene che ci sono pezzi di Paese che hanno tutto l’interesse a scardinare quel che resta della struttura amministrativa Italiana per farsi i beneamati affari loro senza render troppo conto a nessuno, in ciò coadiuvati da certi zelanti cattedratici e qualche volenteroso giornalista, coccolati da certa politica. D’altronde, è ammirevole l’abilità con cui l’attenzione dell’opinione pubblica è in brevissimo tempo scivolata dagli scandali della politica nazionale (sì, Antonio Razzi è un senatore della Repubblica) e regionale alla crociata contro il dirigente Paperone: chapeau! Quello che trovo davvero incredibile è che si lascino passare come acqua fresca bufale colossali senza che nessuno alzi almeno un sopracciglio e si chieda se sia davvero così. Come avessimo tutti bevuto un filtro magico. Attenzione: arresto subito le legittime obiezioni dei malpancisti: sì, la PA italiana ha bisogno di profondi cambiamenti. Sì, i dirigenti pubblici sono i primi a doversi rimboccare le maniche. E sì, ci sono profondi squilibri, anche da un punto di vista di giungla retributiva ossificatasi negli anni. Bene, se siamo d’accordo su questo, partiamo da un assunto semplice semplice: per capire cosa dobbiamo fare di sensato, occorre partire dai fatti, dai numeri, dalle evidenze empiriche. Sono le informazioni sullo stato delle cose e non l’ideologia pro o contro a fornire gli elementi utili per decidere come e dove intervenire. Di riforme epocali della macchina dello Stato ne ho viste diverse, quasi tutte (eccezion fatta, forse, per la stagione degli anni ’90) guidate da interessi di parte. La pubblica amministrazione, tuttavia, è di tutti, e deve servire un unico fine: l’interesse generale. E deve rappresentare una delle leve per fare ripartire il Paese: lo può fare e lo deve fare. E’ compito di classi dirigenti (politiche, economiche, amministrative, sindacali) responsabili guidare questo cambiamento.
Non fa una grinza, vero? Eppure sembra che nessuno sia disposto a impostare un ragionamento serio, basato sui fatti. E se ieri sera, nel corso della trasmissione Piazzapulita dove ero stato invitato (grazie Formigli!), ho dovuto sentir dire da un professore universitario che sono i funzionari a far le leggi fatte male, e non il Parlamento (gasp!), abbondano le balle sulla PA spacciate per vere. I dirigenti? 280.000 in Italia, dice il Corriere della Sera. Nessuno specifica (o sa) che 160.00 circa sono medici, però. Gli stipendi dei dirigenti? Decine di migliaia di euro al mese, riportano i principali quotidiani: eppure basterebbe vedere il Conto Annuale dello Stato per capire il livello di questa panzana. O, più semplicemente, collegarsi ai siti internet dei Ministeri e verificare cv e retribuzioni dei dirigenti che fanno bassa cucina, reperibili on-line. La cura per la PA? Licenziare perchè così – curiosamente – si guadagna in efficienza: e intanto negli ultimi anni sono spariti più di 300.000 dipendenti. Dirigenti e dipendenti sono troppi: e nessuno si cura di osservare che siamo meno dei Francesi e degi Inglesi. Le Asl? Mio cugino, che una volta è morto, mi ha detto che un suo amico ha fatto tre ore di fila allo sportello e se ne è tornato a casa con le pive nel sacco. Serve la PA digitale e informatizzata, basta con la carta: e negli anni si taglia il 50% della formazione indispensabile a gestire il passaggio alla amministrazione 2.0. Basta privilegi: ma di chi? Di pochi intoccabili? E l’ultima, per me gustosa, a cura del Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara: in Italia non esiste una scuola pubblica di formazione amministrativa come l’ENA in Francia. Evidentemente ho sbagliato a pensare di fare negli utlimi due anni il Presidente dei dirigenti ex allievi della Scuola Nazionale di Amministrazione! Pure in questo sfascio informativo, nessuna retroguardia: c’è tanto, tantissimo da fare, a partire dalla sfida fondamentale di cambiare il quadro di riferimento culturale della PA, oggi ancora troppo giuridico-formalistico e orientarci verso il governo delle reti in una società poliarchica (no, non è una supercazzola, fidatevi). Quello che invece emerge dalla pancia teleguidata degli Italiani è una rabbia sorda che vuole solo che si stia tutti peggio, invece che stare tutti meglio: la vera sovietizzazione del XXI secolo. Se ogni approccio è dettato dal pregiudizio, dal sentito dire, dal pressappochismo, se non dal manifesto disprezzo (ah, la palude), il risultato sarà l’opposto di quello che serve all’Italia. Giocare col fuoco, in un momento storico in cui soffia fortissimo il vento dell’odio sociale, su cui speculano le élites irresponsabili, porterebbe al disatro. Se le armi di distrazione di massa, silenziose e letali, sono già in volo, sta alla politica responsabile, all’impresa che fa business, all’amministrazione che si mette in gioco fare da esempio. Ai pubblici dipendenti è richiesto uno sforzo maggiore: proporre alla politica le proprie idee del cambiamento, fare il massimo ogni giorno senza cedere al giustificazionsimo e, allo stesso tempo, non cedere alle provocazioni di chi vuol far degenerare la situazione. E’ una sfida che serve a vincere non come singoli, ma come Paese.