Rachel Swimmer, californiana poco più che venticinquenne, ha concluso brillantemente il suo percorso di studi laureandosi alla prestigiosa UCLA di Los Angeles in Women’s Studies, una versione “femminista” della classica sociologia.
C’è però un particolare: la bionda Rachel Swimmer è una famosissima e attivissima pornostar, nota al pubblico degli appassionati con lo pseudonimo di Tasha Reign. Attiva al punto tale da avere all’attivo una propria casa di produzione, centinaia di film e numerose iniziative ambientaliste e femministe, tanto da farsi immortalare con un divertito Bill Clinton ad un cena di raccolta fondi organizzata dall’ex Presidente USA.
Certo, per noi italiani abituati ad avere a che fare con le femministe di un certo tipo, di quelle che periodicamente manifestano al grido di: “Se Non Ora Quando”, è un colpo al cuore. Come è possibile che una femminista diventi una pornostar? O che una pornostar si dichiari femminista tanto da essersi addirittura laureata nel settore? C’è da giurare che, non appena lo verranno a sapere le nostre connazionali, organizzeranno di corsa un convegno. Insomma: faranno finalmente qualcosa di concreto oltre all’aver sfilato il loro slogan dall’omonimo libro di Primo Levi, che povero Levi a saperlo non avrebbe mai iniziato a scrivere, solo per poi utilizzarlo ai loro tristi happening culturali.
Di più, per la legge del contrappasso, avendo preso il loro motto da un libro, ne scodellano continuamente di improbabili e noiosissimi. Tipo quelli di Giulia Innocenzi, per dire: che sembrano i diari di una stagista quindicenne di un centro sociale, roba da far sembrare una candidata al Nobel persino Fiammetta Cicogna. O quelli di Concita De Gregorio, che ce l’ha con gli uomini a cui piacciono le donne, o quelli di Michela Murgia, che ancora aspetta una risposta, dopo il suo Ave Mary. E via svenendo.
Tutti libri di donne che dicono “noi donne”, quando parlano di donne, libri che hanno sempre qualcosa da dire, o qualcosa da evidenziare o da recriminare. Perché loro possono sempre insegnarti qualcosa, e lo fanno nell’unico modo che conoscono: noiosamente.
Allora ti dai per vinto. Poi però scopri che un’altra pornostar, Sasha Grey, pubblica “The Juliette Society” e ti accorgi, leggendolo, che è frizzante, ironico e sicuramente scritto meglio della maggioranza di tutti gli altri romanzi che trovi in libreria. E, pur essendo Sasha una pornostar, non ha scritto una storia di sesso. Certo, nel libro parla anche di sesso, ma molto meno e molto meglio, ad esempio, delle “Cinquanta sfumature di grigio”: il polpettone che ha sostituito gli Harmony per migliaia di donne di mezza età alla ricerca del loro ultimo sussulto ormonale.
Insomma sia Tasha Reign che Sasha Grey non rinnegano la loro professione di pornostar e non si dichiarano vittime o schiave di nessuno e di niente: è il lavoro che volevano fare e lo fanno. Nulla di più lontano dalle storie di “redenzione” raccontate nei pomeriggi dalle nostre TV, quelle stile Claudia Koll tanto per capirci. Una che è passata dai film di Tinto Brass a fare la missionaria bacchettona, raggiungendo un unico risultato: averci fatto rinunciare ad un bellezza sexy per lasciare inalterata la situazione della fame in Africa. Uno spreco inutile.
Grazie al suo lavoro, invece, Sasha si è dedicata alla scrittura e Tasha Reign si è pagata gli studi alla UCLA, terminando il suo percorso senza avere debiti da saldare. Senza debiti, a differenza di moltissimi altri suoi coetanei che invece stanno dichiarando fallimento, loro e delle loro famiglie, ancora prima di finire gli studi, cosa che accade sempre più spesso oltre Atlantico.
Ma come far capire questa cosa a tutti quegli intellettuali e politici che pensano di voler introdurre lo stesso meccanismo di prestiti per gli studenti italiani? Forse potrebbero imparare qualcosa parlando con Tasha, oltre che guardandola di nascosto sul loro PC? Oppure, prevenendo le loro remore dettate dal bon ton istituzionale, si potrebbe pensare di organizzare un tavolo tecnico magari con Nikki Benz: altra pornostar statunitense che ha deciso proprio in questi giorni di candidarsi come sindaco di Toronto?
Sono casi estremi, qualcuno dirà. Certo: pagarsi gli studi diventando una pornostar è sicuramente un caso eccezionale, ma avere una buona istruzione per riuscire nella vita dovrebbe essere la normalità, anche per i politici. No? E invece, se è vero che c’è chi si spoglia perché non può permettersi di studiare, c’è soprattutto chi le studia tutte solo perché non può permettersi il lusso di spogliarsi.
Quindi sì: anche in un Paese come il nostro si può sdoganare il sesso, ma non per il proprio personale sollazzo, che è sempre e comunque riprovevole, bensì solo per amor di Patria. Da quest’anno infatti l’argomento sarà trattato senza tabù di sorta anche in Italia: per la prima volta l’impatto economico della prostituzione sulla nostra economia, sebbene sommersa, è stata considerata dall’ISTAT per il calcolo del PIL.
Dunque, riassumendo: guardare Youporn fa laureare delle giovani ragazze negli States; andare a prostitute fa alzare il nostro PIL. Ecco dunque che si ripresenta, sotto nuova veste, l’interrogativo che affligge la nostra classe dirigente da decenni: su cosa investire per il nostro futuro?
Istruzione o attività (ri)produttive?
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@PArgoneto