Non lasciatevi istigare dalla propaganda pro-Israele o pro-Palestinesi, o fuorviare da chissà quale remota causa di questa ennesima guerra israelo-palestinese, perché la causa è un solo uomo che vive nel sogno di un’Israele di nuovo dominante come nelle guerre degli anni ’60 e ’70 e che ora più che mai ha bisogno del sostegno popolare frutto dell’ennesima emergenza.
Benjamin Netanyahu è ormai da decenni il simbolo dell’ala più estrema, oltranzista ed anti-palestinese d’Israele, convinto della supremazia militare di Israele ed ancora fermo al mito del “Grande Israele” sin dalla sua partecipazione alla Guerra dello Yom Kippur di cui contesterà più tardi la tregua ed il freno di Israele agli attacchi contro Egitto e Siria fino ai giorni nostri in cui parlano per lui i 500 morti di Gaza, di cui molti civili.
Non è un caso che proprio con il leader del Likud siano nati i più grandi conflitti fra Israele e Palestina, a cominciare dal primo governo guidato da lui, nato dalle ceneri degli Accordi di Oslo e dall’assassinio di Rabin da parte di un componente dell’estrema destra, quella da cui Netanyahu ha sempre tratto forza ed elettorato e che non ha mai condannato per le sue nefandezze interne ed esterne, perfino nei servizi segreti.
E’ lui che allargando l’insediamento dei coloni nei Territori Palestinesi, di fatto distrugge i già deboli accordi di pace con l’ANP di Arafat, facendo riprendere gli scontri e negando qualsiasi possibilità di una soluzione con “due stati” ed è sempre lui che si oppone a Sharon quando nel 2005 decide il ritiro unilaterale da Gaza e con l’avvento dell’ “Operazione Piombo Fuso” ottiene indirettamente una nuova legittimazione sulla necessità di riprendere la guerra contro i palestinesi.
Sono passati soltanto cinque anni e Netanyahu ha aspettato il momento più difficile, quello della riconferma nelle elezioni del 2013, più difficili di quelle del 2009, perché qui “il Bush d’Israele” ha dovuto trovare un degno Rumsfeld da assecondare e di cui chiedere il sostegno tanto da fondere lo storico Likud con Israel Beytenu, partito nazionalista di Avidgor Lieberman, votato dagli immigrati russi (ed è proprio questo che ha garantito al momento l’equidistanza russa ne conflitto) oltre a “La Casa Ebraica” di Bennett altro partito chiaramente di estrema destra e dulcis in fundo la nomina di un Capo dello Stato, il “falco” Rivlin, anche lui in cerca di rivincite.
Solo otto seggi permettono a Netanyahu di andare avanti, Un sostegno conquistato con nuovi insediamenti, provocazioni, minacce di invasione di Gaza finalmente realizzate. Otto seggi ed una popolarità che alla fine dell’emergenza non potrà che crollare visto che questo ennesimo conflitto Israele si ritroverà di nuovo isolato, con l’appoggio parziale degli Usa, con l’economia in caduta libera, con le attività turistiche completamente ferme e con l’ennesimo complesso della paura e della “necessità di difendersi”, un mantra di cui gli israeliani ben presto si stancheranno.
Per ora Bibi Netanyahu ha ancora tempo: può approfittare dell’assenza di altri leader, del suicidio delle opposizioni laburista e di Kadima e Meretz, il grave errore dei palestinesi di non aver sostituito un leader ormai vecchio e compromesso come Abu Mazen con alternative di maggiore unità. Quindi Bibi ha di nuovo la sua guerra: guerra per l’onore e per i voti, la guerra di un fanatico sognatore contro altri fanatici, la summa delle pazzie nel Medio Oriente.