“Non provate un brivido pensando di essere chiamati oggi a realizzare quel sogno degli Stati Uniti d’Europa, avuto da quella generazione che nelle macerie del dopoguerra iniziò la creazione di un nuovo soggetto? Il tema dell’Europa è dire ai nostri figli, noi che siamo la generazione Erasmus, che è possibile che l’Europa oggi sia il luogo in cui è possibile la speranza”.
Cosa vi ricorda un discorso di questo tipo, permeato di parole come speranza, creazione, sogno, brivido, sfortunatamente non pronunciato in pubblico, ma affidato al nuovo palco delle genti, quel social media di nome internet, con i suoi cento figli, facebook, twitter? Non vi sembra di essere tornati indietro nel 1963 in immagini in bianco e nero con la folla entusiasta?
Svegliatevi perché purtroppo non è così, si tratta solo di un messaggio di Matteo Renzi con una lontana eco veltronian-kennediana che mischia, in modo anche alquanto ripetitivo e contorto, riferimenti abbastanza frivoli alla generazione Erasmus con pensieri assolutamente utopistici come gli Stati Uniti d’Europa, roba a cui in fondo neppure l’ultimo Obama a Berlino o lo stesso Kennedy, parlando di Germania, avevano mai abbozzato.
Peccato che solo qualche giorno prima “Gli Stati Uniti d’Europa” siano stati ancora una volta addomesticati dal gigante tedesco e dai partner nordeuropei, nel segno di un leader di Commissione, il più possibile vicino alla grande finanza, alla Banca Centrale, del tutto disinteressato alle spinose questioni sociali che attraversano il continente ed appoggiato da tutti gli Stati tranne Gran Bretagna ed Ungheria.
Sono questi gli Stati Uniti d’Europa? Quelli di Juncker? Quelli di un’ennesima manovra economica che l’Europa ha chiesto all’Italia per settembre, con la promessa di qualche sconto temporale in più su patto di stabilità e fiscal compact purché l’Italia si avvii ad un semestre morbido, come in fondo lo è stato quello della Grecia che pure era il nemico giurato della Germania, dell’Europa influenzata dai grandi soliti poteri ed anima di un Mediterraneo dove c’è crisi e morte.
Forse no. Sono quelli della generazione Erasmus, ovvero quella di chi si sente giovane, leader ed innovatore, con alle spalle soldi e favori della vecchia politica e di mamma e papà, a cui è stato concesso di tutto, in linea con il principio dell’esagerazione post-sessantotto, i cui frutti sono il godimento degli stessi premi a figli e nipoti: stupidi anni sabbatici per imparare lingue, viaggi-vacanza mascherati da studio e scambio interculturale, esaltazione del privato e dell’educazione d’elite.
La generazione Erasmus di cui parla Renzi rispecchia fedelmente Bruxelles, simbolo di un’Europa in cui le chance sono solo teoriche, perché la favola del giovane italiano che sfonda all’estero è rara e fatta di sacrifici enormi o rare genialità oppure di classi d’elite che sono poi quelle che di fatto governano il continente a loro piacimento, mentre il resto è un’angosciante tasso di disoccupazione giovanile al 40% ed un’educazione universitaria e post-universitaria da serie B .
Lo sa bene Renzi che al di là dell’oratoria, in Europa ha avuto l’onore delle foto e dei complimenti per il risultato elettorale e l’onere del silenzio sulle questioni troppo scottanti: perché l’Italia è e resta debole e chi vince, lo fa a casa propria. Il semestre europeo, un po’ come quello della Grecia è viziato dal peccato originale: le redini di questi paesi sono nelle mani della BCE e dei grandi colossi mondiali ed europei ed alzare la voce significa diventare l’Argentina d’Europa. “Non provate un brivido pensando di essere chiamati oggi a realizzare quel sogno degli Stati Uniti d’Europa, avuto da quella generazione che nelle macerie del dopoguerra iniziò la creazione di un nuovo soggetto? Il tema dell’Europa è dire ai nostri figli, noi che siamo la generazione Erasmus, che è possibile che l’Europa oggi sia il luogo in cui è possibile la speranza”.
Cosa vi ricorda un discorso di questo tipo, permeato di parole come speranza, creazione, sogno, brivido, sfortunatamente non pronunciato in pubblico, ma affidato al nuovo palco delle genti, quel social media di nome internet, con i suoi cento figli, facebook, twitter? Non vi sembra di essere tornati indietro nel 1963 in immagini in bianco e nero con la folla entusiasta?
Svegliatevi perché purtroppo non è così, si tratta solo di un messaggio di Matteo Renzi con una lontana eco veltronian-kennediana che mischia, in modo anche alquanto ripetitivo e contorto, riferimenti abbastanza frivoli alla generazione Erasmus con pensieri assolutamente utopistici come gli Stati Uniti d’Europa, roba a cui in fondo neppure l’ultimo Obama a Berlino o lo stesso Kennedy, parlando di Germania, avevano mai abbozzato.
Peccato che solo qualche giorno prima “Gli Stati Uniti d’Europa” siano stati ancora una volta addomesticati dal gigante tedesco e dai partner nordeuropei, nel segno di un leader di Commissione, il più possibile vicino alla grande finanza, alla Banca Centrale, del tutto disinteressato alle spinose questioni sociali che attraversano il continente ed appoggiato da tutti gli Stati tranne Gran Bretagna ed Ungheria.
Sono questi gli Stati Uniti d’Europa? Quelli di Juncker? Quelli di un’ennesima manovra economica che l’Europa ha chiesto all’Italia per settembre, con la promessa di qualche sconto temporale in più su patto di stabilità e fiscal compact purché l’Italia si avvii ad un semestre morbido, come in fondo lo è stato quello della Grecia che pure era il nemico giurato della Germania, dell’Europa influenzata dai grandi soliti poteri ed anima di un Mediterraneo dove c’è crisi e morte.
Forse no. Sono quelli della generazione Erasmus, ovvero quella di chi si sente giovane, leader ed innovatore, con alle spalle soldi e favori della vecchia politica e di mamma e papà, a cui è stato concesso di tutto, in linea con il principio dell’esagerazione post-sessantotto, i cui frutti sono il godimento degli stessi premi a figli e nipoti: stupidi anni sabbatici per imparare lingue, viaggi-vacanza mascherati da studio e scambio interculturale, esaltazione del privato e dell’educazione d’elite.
La generazione Erasmus di cui parla Renzi rispecchia fedelmente Bruxelles, simbolo di un’Europa in cui le chance sono solo teoriche, perché la favola del giovane italiano che sfonda all’estero è rara e fatta di sacrifici enormi o rare genialità oppure di classi d’elite che sono poi quelle che di fatto governano il continente a loro piacimento, mentre il resto è un’angosciante tasso di disoccupazione giovanile al 40% ed un’educazione universitaria e post-universitaria da serie B .
Lo sa bene Renzi che al di là dell’oratoria, in Europa ha avuto l’onore delle foto e dei complimenti per il risultato elettorale e l’onere del silenzio sulle questioni troppo scottanti: perché l’Italia è e resta debole e chi vince, lo fa a casa propria. Il semestre europeo, un po’ come quello della Grecia è viziato dal peccato originale: le redini di questi paesi sono nelle mani della BCE e dei grandi colossi mondiali ed europei ed alzare la voce significa diventare l’Argentina d’Europa.