Il mondo è sotto choc: Hello Kitty non è una gatta.
Lo ha rivelato l’azienda produttrice, senza sensibilità alcuna, dopo anni di omertoso silenzio. «Ma non è nemmeno una ragazzina» si è affrettata ad aggiungere, per evitare che frotte di essere umani corressero sgomenti davanti allo specchio a controllare i propri tratti somatici. Sarà forse una vulcaniana, viste le orecchie? Chissà, non ci è dato sapere.
Yuko Yamaguchi, terza designer del personaggio Hello Kitty (Aaron Tam/AFP/Getty Images)
Quello che è sicuro è che l’azienda, la perfida azienda, per tirare l’acqua al suo mulino, ha tentato persino di minare la credibilità di Topolino, sostenendo che Hello Kitty non è un gatto così come Topolino non è un topo. Camminano su due zampe (gambe?), che diamine, non possono certo essere animali!
E allora perché si chiama Topolino, o Mickey Mouse che dir si voglia, verrebbe spontaneo chiedersi, ma soprassederemo, perché, in fondo, anche io mi chiamo Serena pur vivendo nelle nuvole. E poi Topolino è forte, Topolino non si lascia abbattere da sciocche dicerie; non lo ritroveremo certo in depressione anestetizzato dall’assenzio come in un dipinto di Degas.
Ma Hello Kitty? Sarà abbastanza forte? L’azienda non si rende conto che, depauperandola all’improvviso della sua identità di gatta, l’identità che l’ha caratterizzata fieramente dal 1974 a oggi, una personalità già borderline come la sua potrebbe non reggere il colpo? Hello Kitty ha già dovuto venire a patti con merchandising di ogni tipo, assorbenti compresi, è davvero il caso di dirle: «Ciao bella, da oggi sei una cosetta imprecisata»?
Hello Kitty è un’icona e, come per tutte le icone, la crisi d’identità è dietro l’angolo. Non acceleriamogliela, perché lo choc di scoprire che quei baffi avrebbe dovuto strapparseli, invece di coltivarli fiera come ogni gattina che si rispetti, potrebbe esserle fatale.
E Hello Kitty non dove morire. Chi se lo prende, altrimenti, tutto quel rosa?