Prendiamo un ameno dipartimento di una altrettanto amena università italiana. In questo dipartimento succedono cose: si insegna, si fa ricerca, si chiacchiera, si va a bere il caffè. Tutto bello, tutto utile (tutto utile?).
Poi succedono anche altre cose, alcune meno nobili, come andare in bagno e non trovare la carta igienica.
Dato che nessuno di quelli che contano ha mai pensato di addobbare i bagni con piante ornamentali dispensatrici di foglie dalla forma adatta allo scopo, ci si arrangia come si può: fazzoletti se ci sono, scrollatina se la situazione lo consente, orrore e offese ai santi in tutti gli altri casi.
Si può anche andare, volendo, dalla signora che si occupa delle pulizie ed elemosinarne un po’.
«Scusa, non è che potresti lasciare in bagno un rotolo in più di carta igienica, per favore, che finisce sempre ed è una cosa un po’ antipatica?»
«Eh, ma se io ne lascio di più, poi qualcuno me la ruba».
Ma certo, te la ruba. Come no. A parte che la qualità non è certo di quelle che ti fanno dire wow, non si è mai vista nessuna donna uscire dal bagno con un terzo seno o improvvisamente incinta.
Ma tant’è. La paranoia del mi rubano le cose colpisce tutto l’organigramma del mondo accademico, nessuno escluso; queste cose possono essere sia materiali che immateriali, sia preziose che patacche. Non importa, la paura che vengano sottratte aleggia in tutti i corridoi.
«Vogliono rubare le mie idee» pensa Tizio, che a volte – in tutta la carriera – di idea ne ha avuta solo una, per di più sciocca. E tra l’altro, se gliela togliessero dalla testa, sarebbe solo un bene.
«Vogliono rubare il mio spazio» pensa Caio e, per marcare il territorio, comincia a riempire il suddetto spazio di roba inutile che non usa e mai userà, pur di non lasciarlo a chi, di quello spazio, ha veramente bisogno.
Mio è un concetto strano, in università.
«Mettiamo qualcuno a presidiare lo strumento XYZ, prima che Sempronio ci metta sopra le mani».
Anche condivisione è un concetto strano, in università.
Chiudi tutto presto.
Mi vogliono rubare lo strumento.
Mi vogliono rubare lo spazio sotto cappa.
Mi vogliono rubare il laboratorio.
Mi vogliono rubare l’idea.
Che poi, in realtà, spesso non è paura della sottrazione della cosa in sé. È più paura che quella cosa – idea, spazio, oggetto, strumento che sia – venga utilizzata meglio da qualcun altro, lasciando scoperta la miseria di chi, quella cosa, non ha mai saputo farla fruttare.
Così si tiene tutto sotto chiave, come la carta igienica nuova. Non sia mai che qualcuno ne prenda un rotolo e provi a pulire, oltre alla propria lordura, anche quella che a volte ricopre l’università.