A svegliarla quel mattino del suo secondo giorno a New York fu l’arrivo di un messaggio sul cellulare. Nessuno sembrava ricordarsi della differenza di fuso orario con l’Italia, così chiunque le scrivesse messaggi o e-mail lo faceva incurante del fatto che lei a quell’ora stesse ancora dormendo. Con gli occhi stropicciati dal sonno allungò un braccio per guardare il display del telefono, lui le aveva scritto e mandato un messaggio vocale: in pochi secondi si azzerarono i 7000 km di distanza e quella camera newyorchese, che iniziava ad illuminarsi con la luce di un nuovo giorno, si riempì del suono dolce e pieno di una voce tanto attesa e desiderata.
Cercò di riaddormentarsi, ma non riuscì. Da meno di ventiquattro ore era atterrata nella città che aveva sognato fin da bambina, quando collezionava fotografie di New York ed incollava su un quaderno qualsiasi ritaglio di giornale descrivesse quella città. Il primo giorno nella Grande Mela salì sulla metropolitana ad Astoria, il quartiere dove aveva trovato una stanza in affitto, quindici minuti dopo scese alla fermata di Times Square e mentre risaliva in superficie, di gradino in gradino, gli occhi erano puntati al cielo dove intravedeva le luci colorate, i grattacieli ed i pannelli pubblicitari del cuore chiassoso di Manhattan. Era uscita dalla metropolitana e per qualche istante, mentre la gente la sfiorava al passaggio, riuscì soltanto a rimanere immobile e piangere di gioia: aveva atteso quel giorno per tantissimi anni, con la consapevolezza che i sogni vanno nutriti e raccontati sottovoce soltanto a chi non li può giudicare.
Mentre ricordava quelle emozioni, e forte delle parole appena ricevute, decise di dare inizio a quella mattina d‘inizio estate regalandosi una giornata davanti all’oceano di Coney Island, a Brooklyn. Scese al capolinea della metropolitana, percorse il tratto di strada per raggiungere la spiaggia e qui corse libera sulla sabbia. Dopo un tuffo nell’oceano era tornata sulla passerella di Coney Island; aveva comprato un hot dog dal celebre Nathan’s ed a piedi scalzi lasciava che fossero le venature del legno su cui camminava a guidarla verso le numerose attrazioni e giostre che hanno preso il posto dell’antico luna park.
Chiunque, guardandola, avrebbe potuto indovinare quale fosse il suo stato d’animo in quella giornata bellissima, con un sole caldo ed il cielo azzurro, il vento a scompigliarle i capelli, sorridente di fronte al parco divertimenti che la stava attendendo: era una ragazza felice. Ricordò i messaggi ricevuti quella mattina e quando con lo sguardo incontrò alcuni bambini saltare su un tappeto elastico, pensò che ci sono persone che ti danno la forza per saltare sempre più in alto. Le aveva scritto: “Ti aspetto al tuo ritorno”.