Il verdetto è stato emesso. A casa in 48 ore gli ormai celebri “furbetti del cartellino” e tutto andrà a posto: imprese e cittadini avranno finalmente a che fare con una pubblica amministrazione che funzionerà come un orologio. Eppure, la pur legittima indignazione verso i comportamenti illeciti, cialtroneschi direi, di un numero tutto sommato irrisorio di truffatori rischia, purtroppo di non far cogliere quali siano le vere problematiche della PA e le migliori soluzioni per affrontarle. Se Luigi Oliveri su Lavoce.info ricorda che a fronte del doveroso rispetto dell’orario di lavoro “è fondamentale che in quell’orario la macchina pubblica produca benefici concreti per la popolazione amministrata e si introducano sistemi di valutazione della produttività meno velleitari di quelli fin qui sperimentati”, Carlo Mochi Sismondi su ForumPA evidenzia come “non saranno certo le accelerazioni dei provvedimenti disciplinari a migliorare efficienza ed efficacia della PA, saranno piuttosto gli stili di management, la corretta, intelligente e moderna gestione delle persone”.
Insomma il punto vero investe non tanto e non solo spendere energie nell’inchiodare il lavoratore alla sedia, nominando i dirigenti sorveglianti di piano, ma comprendere che il tema è in realtà tutto organizzativo e che se può bastare certamente un tornello per evitare lo sgattaiolare dei furbetti – avete notato che si tratta sempre di macchinette a muro? – la mera presenza alla scrivania ha di per sé un valore prossimo allo zero se non si è capaci di gestire le persone che muovono la macchina. Si sta, in buona fede o meno, operando un gigantesco inganno mediatico in base al quale si induce l’opinione pubblica a credere che il giochino “ti licenzio altrimenti mi licenziano” porterà un beneficio diretto ai cittadini, gli utenti finali dei servizi pubblici. Spiace dirlo, ma non è così. E non perché la PA non abbia un cumulo enorme di problemi da risolvere, dei quali la dirigenza pubblica porta la sua parte di oggettiva responsabilità. Ma perché quei problemi sono figli di quella stessa mentalità fordista, da catena di montaggio, con cui ancora oggi si interpreta il funzionamento delle amministrazioni, come testimonia la spasmodica attenzione di media e pubblica opinione. E senza ricordare che ci sono tante amministrazioni e altrettante “zone” nelle amministrazioni nella galassia pubblica che rappresentano poli di eccellenza, assicurando, anche a risorse perennemente decrescenti, servizi ai cittadini.
Via gli scansafatiche, certo. E subito: è tale la valenza etica e simbolica di certi comportamenti che anche uno solo di costoro è uno di troppo. Purché si sia consapevoli che, dopo di ciò, la realtà è fatta di blocco delle assunzioni e della crescente anzianità dei lavoratori pubblici, poco formati e scarsamente motivati, i quali dovrebbero essere il motore di una PA che sia leva di sviluppo del Paese. E, soprattutto, di una dirigenza che rischia di trovarsi pesantemente condizionata dalla politica, buttando a gambe all’aria il già fragile tavolino della separazione fra gestione amministrativa e indirizzo politico. Serve, invece, uno sforzo di immaginazione per fare dei luoghi di lavoro pubblici dei luoghi della modernità, in cui si punti al risultato con la stessa flessibilità di tempi e modalità che sono propri delle organizzazioni più avanzate. Dove la dirigenza, reclutata in modo omogeneo e meritocratico, abbia gli strumenti per gestire, con autonomia di risorse umane e finanziarie, i percorsi per raggiungere quegli obiettivi che la politica ha il dovere di definire. Dobbiamo in altre parole liberarci dalla sindrome di Fantozzi, per cui le pubbliche amministrazioni sono popolate di automi che lavorano a comando, privi di qualsiasi intelligenza propria, scansafatiche per vocazione e vessati da potenti megadirettori. Come e con quali modalità vogliamo continuare a cambiare la PA? Dove sono gli strumenti per ragionare di organizzazione senza fossilizzarci sulla norma? È davvero solo l’amministrazione ad essere malata di formalismo o è anche la politica ad illudersi (ed illuderci) che una nuova legge sarà la panacea di tutti i mali? Non esistono bacchette magiche, sia chiaro: a problemi complessi devono corrispondere soluzioni articolate e va riconosciuto al Governo che il complesso dei decreti attuativi della legge di riforma della PA rappresenta uno sforzo importante, con aspetti positivi. Basta ricordarsi che il cartellino, in fondo, è solo un pezzo di plastica.