Noi “legioni d’imbecilli” ci siamo presi con spavalderia il diritto alla parola attraverso i social media. Quando l’estate scorsa Umberto Eco inveì contro il popolo dei social network, in Rete si alzò un polverone mastodontico.
Eppure proprio noi, ovvero “gli scemi del villaggio promossi a portatori di verità”, negli anni ’90 avevamo scelto il DAMS a Bologna pur di finire a far lezione con Eco; proprio noi, ovvero la ciurma “che prima parlava solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”, avevamo smontato e rimontato il cinema e la arti visive servendoci della semiotica; proprio noi, che oggi “abbiamo lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel”, avevamo scovato, tra le pagine di Il nome della Rosa, i segreti taciuti del Medioevo in una retroilluminazione negataci dalle “legioni d’imbecilli” di alcuni professori in cattedra nella scuola pubblica, a danno della mia generazione.
Quando meno di dieci anni fa conobbi di persona il professore Eco alla Milanesiana di Elisabetta Sgarbi, non mi sorprese la soggezione nei confronti dell’unico gigante della nostra cultura.
Mi impressionò piuttosto la riverenza della mia generazione di fronte a questo folletto della sapienza umana che, senza abusare di riti magici, ci aveva recuperati come pecorelle smarrite al pascolo della lettura:
“Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.
Se l’evoluzione della nostra specie sui social network è stata vissuta dall’immortale Eco come involuzione affogata nell’imbarbarimento dell’omologazione digitale, allora noi “legioni d’imbecilli” riconosciamo legittimo un unico testamento: quello stilato da Umberto Eco in 1.400 caratteri cinguettati dal suo account Twitter tra il 2010 e il 2015:
Molta gente non va più in Chiesa ma poi cade nelle superstizione.
Gli Stati Uniti hanno avuto bisogno della guerra civile per unirsi davvero. Spero che a noi bastino cultura e mercato.
Le qualità perdono lucentezza se si toccano troppo, mentre la fantasia giunge più lontano della vista.
Qualunque sistema semantico, cioè qualunque lingua e universo culturale, costituisce un modo di dare forma al mondo.
Solo a Dio può appartenere il privilegio di aver letto tutto. Mi piace pensare che questa potrebbe costituire una prova della sua esistenza.
I bibliofili stentano a comprendere il presente, temono il futuro e coltivano il passato…
Quando gli uomini capiscono di essere stati ingannati è troppo tardi… la storia ha raggiunto il suo risultato.
Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto.
Viene un momento in cui qualcosa si spezza dentro, e non si ha più né energia né volontà.
C’è un ritorno al cartaceo, il giornale non sparirà almeno per gli anni che mi è consentito di vivere.
Noi “legioni d’imbecilli” restiamo coerenti fino alla fine, fedeli alla linea dei social network. Chi non ha visto l’arrampicata di Umberto Eco sulla timeline di Twitter, scagli la prima pietra. Questa è la nostra piccola eredità e ne siamo tremendamente gelosi, anche se fosse un bel “falso d’autore”.