L'ambulanteTutto su una madre. Da un giornalista ad una casalinga per i suoi 70 anni

Non sono stato un granché come figlio. Senza contare gli anni di latitanza dalla ritualità della Festa della Mamma, racimolo memorie legate alla ventenne napoletana della foto che si accinge a speg...

Non sono stato un granché come figlio. Senza contare gli anni di latitanza dalla ritualità della Festa della Mamma, racimolo memorie legate alla ventenne napoletana della foto che si accinge a spegnere 70 candeline. Non le passa neanche per la testa di aprire un profilo sui social network.

Tutto su una madre, casalinga moglie all’alba degli anni Settanta e per amore esiliata in provincia, ai tempi in cui i confini geografici tra Napoli e l’hinterland delineavano differenze culturali, sociali, tradizionali. La famiglia acquisita la soprannominò “la napoletana”, perché il faccino pulito era insofferente alla vita paesana e al vivere per apparire, che nel passaggio dalla vita di città diventava più marcato e odiosamente insopportabile.

Tutto su una madre, casalinga sovversiva nei confronti della famiglia tribù di stampo patriarcale e maschilista. Il primo di tanti scossoni avvenne dopo il rifiuto di darmi da primogenito il nome del nonno paterno per legare la mia vita a Maryām, la ragazza madre che, più di duemila anni fa, aveva salvato il pargolo dalle grinfie di Erode, orco reale della Giudea.

Tutto su una madre, casalinga emancipata che il 12 maggio 1974 si avviò a prima mattina al seggio del Referendum per confermare la legge sul divorzio in Italia. Nel paese in cui vigeva l’omertà fu sostegno a tante donne conosciute che, sotto fondotinta e mascara, nascondevano i lividi dei maltrattamenti e violenze subiti a casa dai mariti. Il suo voto fu rivalsa anche contro il bigottismo.

Tutto su una madre, casalinga con una coscienza civile nella domenica all’uscita della messa, a ridosso delle amministrative. Diede uno spintone all’uomo che le mise in mano un santino elettorale con lo scudo crociato. Erano le stesse facce che intingevano la mano sinistra nell’acquasantiera e stringevano la destra al boss locale per coalizzare il voto di scambio.

Tutto su una madre, casalinga senza giubbotto antiproiettile sull’uscio della mia scuola elementare nei pomeriggi di fuoco in cui volavano pallottole. Erano i giorni bui delle lotte fratricide dei clan, prequel dei racconti di Saviano, in cui Don Raffaè faceva ammazzare per strada gli oppositori dell’imperialismo della nuova criminalità organizzata: “Ah, che bellu ccafe’, sulo ‘n carcere ‘o sanno fa’, co’ ‘a recetta ch’a Cicirinella compagno di cella ci ha dato mamma’”.

Tutto su una madre, casalinga educatrice ed anticonformista che disegnò il suo nome ricamando con il cotone rosso una margherita sulla tasca della gonna di jeans; mi insegnò a fare le linguacce e i palloni con il chewingum; fu compagna di giochi d’infanzia; fece del teatro, cinema e musica lo sguardo attraverso cui penetrare la vita; beffeggiò gli pseudo-intellettuali locali che tracciavano il percorso formativo degli enfant prodige della middle-class pacchiana, condannati al nozionismo dei licei feudatari di periferia. Come regalo per il tredicesimo compleanno mi toccò una serata a teatro con Il Prezzo di Arthur Miller. Mi scaraventò, alla fine dello spettacolo, tra le braccia di Raf Vallone, come a dire portalo via con te e fa che il teatro di prosa rimanga il nascondiglio del suo divenire.

Tutto su una madre, casalinga guerriera che, defilandosi dallo struscio del Giovedì Santo e dalla festicciola patronale, scippò come una Colombina ante litteram la maschera al suo Pulcinella, lo liberò dalle teche museali e se lo riportò all’ombra del Vesuvio. Una lenta rivolta tra quattro mura domestiche, tra detersivi, lavatrici, bucati da stendere e piatti da risciacquare, per lei testardamente romantica con le canzoni di Peppino Di Capri, Don Backy, Giacomo Rondinella, Massimo Ranieri, Luigi Tenco, Gianni Morandi e con lo chiffon degli abitini di Lalla Acquaviva, nata dalla penna stilografica di Liala, custode di tante letture estive.

I sogni della casalinga si sono asciugati al sole senza neanche una grinza, perchè è stata fedele con coerenza alle sue radici metropolitane e da madre ha tenuto a mente le parole della Filumena Marturano eduardiana: “Figlie so chille che se teneno mbraccia, quando so’ piccirille ca te danno preoccupazione quanno stanno malate.” La napoletanità di mia madre mi ha fatto viaggiatore, vestendomi con il tanfo della solfatara, le luminarie della Festa di Piedigrotta, la salsedine del mare di Coroglio, il rumore dei tram che scorrevano lungo via Diocleziano in direzione di Bagnoli, la fisionomia della Napoli dei Campi Flegrei.

Non sono stato un granché come figlio. Lei è stata sostanza della mia vita. In compenso da giornalista posso dedicarle i versi di questa canzone che ci legherà per sempre, lasciata sul ciglio del numero 51 di via Piedigrotta, dove è nata in una mattina di maggio di settanta anni fa:

Io son sicuro che in questa grande immensità qualcuno pensa un poco a me e non mi scorderà. Sì, io lo so tutta la vita sempre e solo non sarò.

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