Nella settimana calda che ci avvia ai ballottaggi delle Comunali di domenica 19 giugno, i social network restano la piazza dove si affilano le lame a caccia dell’ultimo “like” da trasformare in voto. Valgono ancora i santini elettorali inbucati nelle cassette postali, il gazebo in piazza, il banchetto all’uscita della parrocchia o i manifesti con oscene gigantografie ritoccate?
Valgono sicuramente meno di Facebook e Twitter, le due piazze per eccellenza del nuovo chiacchiericcio elettorale, fatto anche di colpi bassi e hashtag.
Nell’ultima settimana su Twitter sono bastate un paio d’ore d’orologio a far superare 1 milione di impression a #ballottaggi. Mai come per questa tornada elettorale gli aspiranti candidati sindaco hanno ristretto lo slogan nei pochi caratteri di un hashtag.
Virginia Raggi, dama della Terza Repubblica sempre più vicina al trono in Campidoglio a Roma, è la più acclamata sui social network. La pagina Facebook della regina del Movimento 5 stelle, al di là degli oltre 232 mila fan, è in pieno fermento tra ovazioni e incoraggiamenti mentre il suo hashtag #coRaggio è il più cinguettato.
L’avversario Roberto Giachetti la rincorre con l’affannoso #RomatornaRoma, la tiritera sulle Olimpiadi e post su Facebook del tipo “Comincio ad essere davvero stanco. Non di questa lunga campagna elettorale. Ma delle balle che Virginia Raggi continua a raccontare ai romani”.
Non sempre gli “hashtag riescono con il buco” tanto da portare male. E’ accaduto a Napoli con il più buffo di questa campagna per le comunuali: #napoliVale. Hashtag che porta sfiga? Può essere tanto che l’aspirante sindachessa Valeria Valente è finita giù dalla torre prima del ballottaggio.
All’ombra del Vesuvio quest’hashtag ha decretato la fine del bassolinismo e dei pupilli arruginiti, perchè adesso sui social network la partita se la giocano #sindacodistrada di Luigi De Magistris e #amarenapoli di Gianni Lettieri. Come slogan non sono un granchè, omaggiano i titoli del canzoniere neomelodico.
Scorrendo la timeline di Facebook, attraverso gli hashtag menzionati, fanno rizzare il mouse del PC i piccoli intrusi voltagabbana delle liste civiche, in lotta per una poltroncina vellutata a Palazzo San Giacomo: postano foto pacchiane di incontri elettorali nello stesso stile delle casalinghe napoletane anni ’70, che fingevano di far numero alle riunioni a domicilio delle vendite di prodotti per l’igiene e per la casa.
A Bologna Virginio Merola se la gioca con #dallapartedibologna, mentre l’avversaria leghista Lucia Borgonzoni gli sta alle calcagna con il populista #rivogliobologna.
Su Facebook il sindaco uscente è in netto svantaggio come numero di fan, ma in compenso si fa fotografare con gli Afterhours perchè si sa che la musica ci rende credibili, forse più del renzismo che promette pulizia di ecoballe nella Terra dei Fuochi.
A Milano Beppe Sala avrebbe fatto bene a riciclare l’hashtag #Expo2015 per vincere al primo turno, visto che #votosala si contende lo scettro con #iocorropermilano di Stefano Parisi, quest’ultimo scambiato dai milanesi per un runner che tutte le sante mattine si allena al parco Sempione. Chi è il più socialista dei due? Si fa davvero fatica a capirlo, nonostante Sala #expottimista ha più esperienza in materia di selfie su Instagram.
#PerAmorediTorino è il titolo di un romanzetto apocrifa di Moccia? No, è l’hashtag di Piero Fassino, sindaco uscente di Torino con una spina nel fianco a 5 stelle, Chiara Appendino. Lo slogan di quest’ultima è “L’alternativa è sempre più Chiara“, troppo lungo e dai colori monastici per spiccare il volo sotto le sembianze di un hashtag.
La Appendino è certamente più social del buon vecchio Piero e se fosse per lo schiacciante sorpasso di numero di fan (più del doppio) potrebbe già fare sogni da sindaco.
E il gazebo in piazza di cui scrivevo all’inizio? Quello resta il più efficace in paesi di poche migliaia di anime come Ardenno, in provincia di Sondrio, l’unico piccolo centro italiano ad andare al ballottaggio. Infatti, i due candidati hanno racimolato ciascuno 922 preferenze tonde tonde.
Meno male che Bonat e Speziale non si sono fatti cucire un hashtag su musura, per poi sentirsi rinfacciare che apparteneva proprio a loro l’hashtag di cattivo augurio.