TecnopinioniRaggi e l’ascolto dei cittadini? È meglio ascoltare i dati

In Friuli Venezia Giulia il progetto di redistribuzione dei presìdi 118 rischiava di andare per le lunghe: ogni territorio, ogni comunità ha una insopprimibile vocazione egoistica, dunque ciascuno ...

In Friuli Venezia Giulia il progetto di redistribuzione dei presìdi 118 rischiava di andare per le lunghe: ogni territorio, ogni comunità ha una insopprimibile vocazione egoistica, dunque ciascuno comprensibilmente cerca di tirare l’acqua al suo mulino e così fosse stato per le fasce tricolore i 118 sarebbero dovuti essere tanti quanto i comuni.
In questa regione però hanno avuto l’idea di prendere i loro dati sulle richieste di emergenza (chiamate, chilometri percorsi, esito, densità, tutto quanto) e consegnarli a una società esperta di analisi dei dati. Applicando un algoritmo che considerasse tutti i criteri di efficienza massimizzando i benefici e minimizzando i costi, ne è uscito un piano 118 che oltre a dare una risposta concreta toglie di mezzo il rischio di empasse politica.

Molto semplicemente, invece di ascoltare tutti si sono ascoltati i dati. Non si sa quanto verrà apprezzato dai diretti interessati, ma certamente destituirli di un pezzetto di potere ha dato un risultato oggettivo. In ogni regione d’Italia, con grande variabilità, ovviamente, si stanno applicando da tempo questi strumenti destinati a cambiare il processo decisionale, perché in molti casi la potenzialità prescrittiva e non soltanto predittiva dell’intelligenza algoritmica applicata agli open data della pubblica amministrazione fa meglio di qualunque consesso umano. Soprattutto politico.

Perché questa storia? L’Italia ha accresciuto il debito pubblico anche in questo modo, con la piccola università, il piccolo tribunale, il piccolo presidio ospedaliero. Per decenni la qualità della politica cittadina è stata misurata dalla abilità di realizzare miniature delle cose serie, sorretta dalla retorica dell’ascolto delle istanze locali. Si direbbe sia un retaggio da Prima Repubblica, ma avete ascoltato la campagna elettorale nella Capitale? La candidata cinquestelle, Virginia Raggi, che molto probabilmente diventerà la prima sindaca di Roma, ha caratterizzato la sua comunicazione secondo un principio: di fronte a un tema sensibile, sviare oppure rispondere che verranno ascoltati i romani. Tutti applaudono, sembra una ventata di aria nuova, finalmente il popolo riprende la sovranità sottratta dai vecchi partiti, invece la premessa è disastrosa, in termini assoluti e relativamente al movimento che era nato su concetti molto più avanzati.

Che la candidata più forte mai vista nel movimento, fondato da Grillo e Casaleggio in base all’idea di democrazia digitale, ripeta ogni piè sospinto sulle Olimpiadi, sui trasporti, sui complicati processi decisionali, sulle scelte sensibili, il mantra dell’ascolto dei cittadini è una delle peggiori ricette che si possano immaginare per una città che palesemente non sa governarsi. Chi ha detto che i cittadini sono i depositari della soluzione migliore per sé stessi? Dov’è finita la competenza? E soprattutto dov’è finita la responsabilità della scelta? Non che gli altri candidati, nella capitale come in altre città, facciano granché meglio, anzi. È proprio un deficit culturale che coglie tutti, nessuno escluso. Neppure il movimento che aveva detto di voler cambiare tutto con la Rete e la tecnologia.

Ovunque si sentono candidati amministratori parlare in questo modo (decideranno i cittadini, io vado al mercato tutti i giorni, ascolto i loro bisogni, promuoveremo un referendum) state pur certi che si è ancora dalle parti della politique politicienne. Altro che rivoluzione. Aspetto ancora il giorno in cui sentirò un candidato sindaco avere la lungimiranza e la cultura di rispondere alla domanda su cosa intenda fare con l’ipotesi di apertura di una metropolitana o la costruzione di uno stadio né abbassandosi al “può dare lavoro” né trincerandosi dietro un “ascolteremo i cittadini”, ma dicendo l’unica cosa sensata nel 2016: “Lo decideranno i dati”. Li avete, ne avete tonnellate. Usateli.

Esautorate l’appetito egoista di chi vi vota, se ne avete il coraggio. È l’unica ragione per cui vi meritereste il titolo di primo cittadino.

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