A me, personalmente sì. Dice un sacco di cose. Ma facciamo come fanno i sedicenti giornalisti bravi: prima i fatti poi le opinioni.
Allora:
I fatti.
La serie in questione si chiama ‘Divorce’, partirà in autunno e racconta la storia di una tizia (SJP) che affronta un lungo e tortuoso divorzio, impara a cavarsela da sola e si barcamena tra lavoro, figli, solitudine e nuovi (forse) amori.
Bene.
Adesso partiamo con le opinioni, che qua di giornalisti bravi non è cosa.
Opinione numero 1)
Non so voi, ma io ho paura.
Ho molta moltissima paura che ‘Divorce’ possa essere una specie di ‘Sex and the City’ in versione menopausa, con la ruggente Carrie trentenne, sostituita da un un’altra tizia, vattelappesca come si chiama, alle prese con la singletudine di ritorno a 50 anni.
Se così fosse non sarebbe un grande affare.
Speriamo di no.
Opinione numero 2)
Non so voi, ma io ho paura.
Ho molta moltissima paura dell’effetto minestra riscaldata, ho paura che quel che stato non potrà mai essere di nuovo, ho paura, anzi no: so, che i fasti di ‘Sex and the City’ non si potranno mai più ripetere.
Provo a spiegarmi: ‘Sex and the City’ (che pure era una serie con enormi limiti di scrittura e verosimiglianza) è stata un successo perché c’erano le condizioni perché lo fosse.
Tanto per cominciare era 20 anni fa (eh sì….20 ….era il ’98), e questo dava a tutta la faccenda un vantaggio di partenza irripetibile, perché non si erano mai viste, in tv (almeno sui in chiaro e prima di mezzanotte) donne tanto libertine e sessualmente ciniche.
Inoltre SATC era romantico quel tanto che bastava a compensare e diluire il cinismo sessuale di cui sopra perché, copula oggi copula domani, alla fine tutte le quattro protagoniste convolavano a giuste nozze (vabbè, 3+1) e vivevano felici e contente.
Poi era intriso di ottimismo clintoniano, perché il brodo di coltura in cui le nostre quattro crescevano era quello di un mondo nel quale, né i soldi, né il lavoro, né i vestiti, né il costo di un appartamento a Manhattan, né l’avvenenza fisica, né il conteggio delle calorie erano un problema.
Vuoi un lavoro a Vogue? Eccolo. Vuoi un uomo bellissimo? Eccolo. Vuoi una donna bellissima? Eccola. Vuoi un aperitivo con Donald Trump (sì, QUEL Donald Trump)? Eccolo. Vuoi una borsa di Hermès o una camicia di Prada? Vai, è lì. Vuoi un bambino cinese? Vuoi l’amore della tua vita, romantico (da Moon River e pizza fredda mangiata per terra), ma anche mascalzone al punto giusto (da tradimento-bugia e pentimento) e che però si presenta al tuo compleanno con i palloncini? Non hai che da chiedere.
Tutto questo, benché non avesse né capo né coda, in SATC funzionava.
Non saprei dire con precisione per quale ragione. Forse perché era vent’anni fa ed eravamo tutti televisivamente meno maturi, perché l’effetto finale era divertente e appassionante anche se narrativamente precario (ma in fondo chi se ne frega se la storia non sta in piedi….Cenerentola e Biancaneve vi sembrano storie che stanno in piedi?) e, perché, in buona sostanza, agli autori, era riuscito un piccolo miracolo: raccontare la storia di quattro tizie che non c’entrano niente (per reddito, stile di vita, aspetto fisico e codice di avviamento postale), con il 99,95% dell’umanità e nonostante questo permettere, al 99,95% dell’umanità di immedesimarsi perfettamente nelle loro vite e storie.
Come è stato possibile? Francamente non lo so.
Opinione numero 3)
Siamo sicuri che ‘Divorce’ non sia, in realtà, un ideale seguito della stessa storia ma in un altro universo?
Non perché Carrie e Big si lascino (non sia mai!), ma perché comunque tutta la storia di ‘Sex and the City’ non è una storia di coppia, ma una storia di amore con e per se stessi.
Ricordate l’ultima scena di SATC? Massì che la ricordate, dai…..
C’è Carrie che cammina per la V Strada e risponde al cellulare a Big, che finalmente ha un nome ( metafora- se non fosse chiaro- del nuova livello di maturità, stabilità e consapevolezza, raggiunto dalla loro relazione) e si avvia con lui verso un radioso futuro di amore e felicità.
Ma.
Ma la voce fuori campo ci dice che la relazione più emozionate e importante della vita è quella che si ha con se stessi.
In pratica un parodossone: ci si avvia verso il futuro con un’altra persona, ma si avverte il pubblico che il vero amore, quello da curare e coltivare, è (giustamente) un altro.
Quindi, forse, una serie che si intitola ‘Divorce’ e che (prendendo per buona la sinossi) parla di una persona che si reinventa dopo una separazione, continua a raccontare quella storia lì.
La storia di una che ha una relazione complicata con se stessa, che volte si sta simpatica, spesso non si sopporta, quasi mai si capisce.
Quella storia lì mi interessa. Più di quella di Carrie che cerca marito o di Carrie che lascia il marito: quella di Carrie che sta con Carrie.
Anzi. Forse ora che ci penso è quello l’ingrediente magico, quello che ha permesso a tutti, da Roma a Bankok, di appassionarsi alla storia di 4 marziane newyorkesi.