Avenida BrasilNel D-Day dell’impeachment, Dilma va al Senato per dire al mondo che è un golpe

Nessuna chance per Dilma. Il processo di impeachment aperto nel dicembre scorso dall'allora presidente della Camera Eduardo Cunha per vendetta contro la decisione del Partido dos Trabalhadores di n...

Nessuna chance per Dilma. Il processo di impeachment aperto nel dicembre scorso dall’allora presidente della Camera Eduardo Cunha per vendetta contro la decisione del Partido dos Trabalhadores di non insabbiare il processo di cassazione del suo mandato per i gravi casi di corruzione in cui era coinvolto, proseguito nonostante un’evidenza perlomeno dubbia degli illeciti contabili di cui la presidenta è accusata, si concluderà in settimana con la fine anticipata del suo mandato, e con esso della stagione dei governi di centro-sinistra. Lo ha confermato personalmente a chi scrive Glenn Greenwald, il giornalista statunitense premio Pulitzer, da anni residente a Rio, che ha svolto un ruolo insostituibile nel denunciare al mondo il carattere profondamente antidemocratico della crisi politica brasiliana.

Da ultimo è stato Le Monde, in un editoriale di due giorni fa, a liquidare il procedimento in corso a Brasilia: “Se non è un golpe, è come minimo una farsa”. Una farsa che simula un procedimento giudiziario, ma il cui esito è già scritto, come testimoniava l’aula del Senato vuota durante l’audizione dei testimoni della difesa, cui i senatori pro-impeachment hanno accuratamente evitato, nella grandissima maggioranza, di porre domande, per evitare di udire risposte per loro imbarazzanti.

In tutto questo, oggi è il D-Day, il giorno dell’audizione di Dilma Rousseff, in veste di imputata. Alle nove, ora di Brasilia, le due del pomeriggio in Italia, si presenterà al Senato, nell’aula disegnata da Oscar Nyemeyer, non già per cercare una improbabile assoluzione, ma per consegnare alla storia il testamento politico suo personale e del governo del Partido dos Trabalhadores, oltre che per denunciare al Brasile e al mondo l’arbitrio e l’arroganza del consorzio politico-mediatico-giudiziario che è a capo dell’impeachment, che in concreto non sarebbe stato possibile senza l’incessante campagna di diffamazione e manipolazione delle tv e dei giornali di Rede Globo. Sarà accompagnata da personalità della politica e della cultura, in testa l’ex presidente Lula e Chico Buarque (nella foto).

Uno studio ha indicato come dei 126 di storia repubblicana brasiliana, solo 50 siano stati di sostanziale democrazia. Nella “republica velha” si votava per censo, i brogli erano sistematici, le reti clientelari avevano buon gioco a indirizzare il voto dei pochi cui questo diritto era attribuito. Ebbene in questi 50 anni solo 4 presidenti democraticamente eletti hanno regolarmente portato a termine il loro mandato: Dutra, Kubitschek, Cardoso, Lula. Tra gli altri si contano un suicida (Vargas), uno dimissionario (Quadros), uno deposto dal golpe del 1964 (Goulart), uno deposto a seguito di impeachment (Collor).

L’anomalia brasiliana è anche in questi dati.

Indipendentemente dal giudizio che si possa avere sul governo Dilma, che vive le sue ultime ore, gli effetti collaterali di questo pseudo-processo peseranno come macigni sul futuro del Brasile, un paese che ha estremo bisogno di giustizia in senso proprio, intesa come un sistema giudiziario imparziale ed efficiente, e giustizia sociale, intesa come maggiore equità nella distribuzione del reddito.

Il governo Temer, insediatosi nelle circostanze perlomeno dubbie che abbiamo più volte evidenziato, appare in senso letterale un governo di reazione alle dinamiche che tardivamente, faticosamente, i governi precedenti erano riusciti a mettere in moto: 40 milioni di persone uscite dalla povertà, studenti di colore triplicati nelle università di élité, programmi di edilizia residenziale e di infrastrutturazione rivolti ai più umili, per includere anche loro in una società per secoli ferocemente escludente.

E’ di ieri la notizia dello stop al programma federale di lotta all’analfabetismo, un fatto simbolico al di là del merito della questione.

L’esito di questo processo conferma infatti una volta di più che più che la “rule of law”, in Brasile continuano a contare privilegi di nascita, di razza, di appartenenza ai clan giusti. E continueranno a contare ancora a lungo.