Avenida BrasilRio 2016 al via mentre cala il sipario sulla presidenza di Dilma Rousseff

Le Olimpiadi di Rio che iniziano oggi vantano già tanti record: le prime in America del Sud, gli scenari unici al mondo della città sede, il calore degli abitanti della Cidade Maravilhosa, la ricch...

Le Olimpiadi di Rio che iniziano oggi vantano già tanti record: le prime in America del Sud, gli scenari unici al mondo della città sede, il calore degli abitanti della Cidade Maravilhosa, la ricchezza culturale prodotta da quella mistura in cui gli ultimi delle favelas vivono gomito a gomito con i super ricchi di Ipanema e Leblon.

Saranno però anche le Olimpiadi dell’impeachment, che si concluderà proprio a fine mese, quando il Senato sarà chiamato a decidere in via definitiva il destino di Dilma Rousseff. Benché ancora possibile, la sua permanenza in carica è estremamente improbabile, e questo nonostante l’istruttoria di questi mesi abbia definitivamente chiarito al Brasile e al mondo che i “crimini finanziari” di cui è accusata non sono mai esistiti. Così si sono espressi i periti nominati dal Senato (leggi qui), così hanno ribadito i testimoni ascoltati dalla Commissione Speciale per l’impeachment, così ha confermato la Procura Federale, archiviando il lato penale dell’inchiesta (leggi qui). L’impeachment prosegue comunque, perché come ha scritto pochi giorni fa sulla Folha de São Paulo Janio de Freitas, uno dei più autorevoli editorialisti del paese, “dall’inizio alla fine il processo è stato una messa in scena, un’ipocrisia politica di dimensioni gigantesche, i cui costi saranno recuperati in molti anni; quelli economici, perché quelli umani sono perduti per sempre” (qui la versione integrale dell’articolo).

Perché con il mandato di Dilma Rousseff andrà in soffitta, per chissà quanti anni, il progetto di un Brasile diverso, più inclusivo, multirazziale, aperto, tollerante. Un Brasile che nel 2002, con l’arrivo alla presidenza di Lula, sembrava un’utopia irrealizzabile, e che invece si è imposto all’attenzione del mondo riuscendo a essere per buona parte dello scorso decennio (certo anche grazie a un mix probabilmente irripetibile di condizioni esterne) l’unico paese del globo che coniugava democrazia, crescita economia e riduzione delle disuguaglianze.

Dilma Rousseff e il governo del Partido dos Trabalhadores però non cadono solo per la cospirazione di forze conservatrici, che hanno un’influenza dominante sulla magistratura e sono spalleggiate dal classico mix di poteri forti, nel quale in Brasile giocano un ruolo di assoluto rilievo i grande media, iper concentrati e senza alcuno scrupolo a favore della obiettività dell’informazione (basti pensare alla stessa Folha, scoperta pochi giorni fa a manipolare in modo vergognoso i risultati di un sondaggio a favore del governo interino, come si legge qui). Cadono soprattutto per non essersi saputi affrancare dal loro peccato originale, che è stato quello di accettare le regole del gioco della politica brasiliana, che prevedono compromessi di ogni tipo, indispensabili per governare un paese che è un coacervo indistricabile, in cui picchi di modernità convivono con abissi di arretratezza, dove i potentati locali si trasmettono di generazione in generazione, come fossero una proprietà privata, i loro seggi in Parlamento, giocando sull’indigenza di masse di diseredati. E dunque ha buon gioco a replicare, a coloro che gridano al golpe, chi sottolinea che i suoi protagonisti non sono usciti dalle catacombe della storia, ma dallo stesso gabinetto ministeriale di Dilma, a partire dal presidente ad interim (presto presidente a tutti gli effetti) Michel Temer, compagno di ticket di Dilma meno di due anni fa.

Non c’era un’altra strada, questo è evidente. Nella situazione data era una scelta obbligata allearsi con il Partido do Movimento da Democracia Brasileira, il partito catch-all che non a caso esprime non solo Michel Temer, ma anche i presidenti di Senato, Renan Calheiros, e – fino a pochi mesi fa – della Camera, Eduardo Cunha (poi rimosso dall’incarico per corruzione, non prima però di aver dato avvio nel dicembre scorso all’impeachment, per ritorsione contro il PT di Dilma e Lula che si era rifiutato di bloccare il processo contro di lui), per inciso tutti e tre a differenza di Dilma coinvolti personalmente nelle inchieste per corruzione. Il PMDB, una specie di Democrazia Cristiana tropicale, in cui esponenti della destra religiosa convivono con liberal pro mercato e soprattutto con tanti affaristi, esprime al massimo grado pregi e difetti del sistema politico brasiliano. Un’infinita capacità di mediazione, una fame sfrenata di risorse pubbliche, un mix variabile di populismo e desenvolvimentismo, il keynesismo di quelle latitudini.

Mentre al Maracanã si accende il braciere olimpico, a Brasilia si spegne la fiammella del modello politico che aveva guidato il paese fuori dalle rovine della dittatura, che aveva lasciato al paese il poco lusinghiero primato di paese più diseguale al mondo dietro la Sierra Leone. Ci vorrà molto tempo prima che ne sia individuato un altro.

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