Vanilla LatteDonald Trump ha già vinto

Donald J. Trump ha già vinto. No, non è una premonizione, né un pronostico. Anzi, sarà alquanto difficile e improbabile sentirlo chiamare, tra qualche giorno, "President Trump", perché tutti i segn...

Donald J. Trump ha già vinto. No, non è una premonizione, né un pronostico. Anzi, sarà alquanto difficile e improbabile sentirlo chiamare, tra qualche giorno, “President Trump”, perché tutti i segnali sembrano indicare una netta affermazione di Hillary Clinton.

Molto più semplicemente, Donald Trump ha già vinto perché è ancora lì. È ancora argomento di discussione. È ancora sulla breccia. È ancora in corsa e, non solo, se la sta giocando fino all’ultimo. Nonostante la sua discesa in campo fosse stata ignorata, derisa o accolta come una cosa estemporanea, come i disastrosi tentativi precedenti di tante altre celebrità di entrare in politica. Nonostante il fronte repubblicano presentasse, forse per la prima volta da anni, un parterre di candidati di tutto rispetto, forse il migliore degli ultimi decenni. Nonostante le boutade, le provocazioni, le figuracce, le settimane consecutive di “intanto a breve si sgonfia” e di “dopo questa, è finito: non può andare avanti”. E a dispetto dei commentatori, degli esperti, degli analyst (no, vi prego, non chiamateli “analisti”) e degli addetti ai lavori, che avevano profetizzato una sua dipartita politica in breve tempo.

Donald Trump ha già vinto per la sua ascesa inarrestabile, perché ha trasformato una intera campagna elettorale ridefinendola in base ai propri standard, non più per parlare di “issues”, di temi, di politica, ma quasi interamente sull’attacco all’avversario, la ricerca continua della character assassination, poco importa se con le armi della verità o con vere e proprie leggende metropolitane. Una campagna terribile, senza esclusione di colpi, senza guanti e senza spazio per i veri problemi dell’America di oggi. Tutto perché lui era in gioco, piaccia o meno, a dettare i tempi e i modi. Le scorrettezze ci sono sempre state, a ogni latitudine: questa volta sono emerse in superficie, e ci sono rimaste.

Donald Trump ha già vinto perché in una qualsiasi altra epoca storica non sarebbe neppure stato in grado di superare le primarie repubblicane, perché asfaltato da qualche (ex?) governatore di qualche Stato del sud o del midwest. Invece ha riscritto le regole, senza finanziatori e senza endorsement di partito (a meno che non si consideri Hulk Hogan come tale), con un uso spregiudicato dei social e una campagna più di opinione che di base. Ha giocato la partita da outsider, con il messaggio – forte e chiaro – di lui contro l’establishment. L’anti establishment contro l’establishment: bingo. E non poteva emergere più forte che in questo caso, con Hillary Clinton che è la migliore rappresentazione vivente dell’establishment, organica al partito e al potere, ex First Lady, ex Senatrice, ex Segretario di Stato — così establishment che è riuscita, di riflesso, a far sembrare un anziano socialista del Vermont, da trent’anni in Senato, quasi una boccata d’aria fresca e di novità.

Donald Trump ha già vinto perché ora è troppo tardi. A prescindere dal risultato elettorale (vedi prime righe), ormai è un fattore. Ed è indubbiamente la novità più interessante e imprevista che gli ultimi anni abbiamo prodotto, dal punto di vista politico e comunicativo, da studiare sui libri di scuola di scienze politiche e scienze della comunicazione. È un fattore sia in caso di successo, per ovvi motivi, sia in caso di mancata residenza alla Casa Bianca, perché tutto ciò che ha sollevato in questi mesi continuerà a tormentare, in una certa parte politica e in tantissimi americani, i dubbi su Hillary Clinton (per non parlare delle panzane sul sistema “rigged”, corrotto), che sicuramente non avrà vita facile. E perché in un modo o nell’altro costringerà (o almeno, c’è da augurarselo) il Grand Old Party a fare finalmente i conti con sé stesso e – soprattutto – con l’elettorato di Trump, un popolo da non sottovalutare, piccolo o grande che sia.

Donald Trump ha già vinto perché c’è. E perché, che piaccia o meno, ci sarà ancora, dopo l’election day. Non necessariamente come figura politica. Forse come commentatore TV, forse come fondatore di un nuovo network mediatico conservatore-populista capace di fare concorrenza a FOX, forse come imprenditore. È probabilmente lo scenario che lo preoccupa meno, da multimilionario magnate dell’immobiliare e – suo malgrado, anzi nostro malgrado – stella dell’entertainment.

Donald Trump ha già vinto perché, a poche ore dal voto, dopo una estenuante campagna elettorale, si parla ancora di lui. È oltre un anno che si parla di lui. E lui, da egomaniac quale è, non desidera altro. Il culto della personalità portato ai massimi livelli. Ha già vinto perché è ancora lì. In ogni articolo. In ogni locandina. Sulla scheda elettorale.