“Se in campionato dobbiamo pensare alla salvezza e quello è il nostro vero obiettivo, la Champions è un viaggio premio”. Sta forse in queste parole, rilasciate da Claudio Ranieri alla fine dell’andata degli ottavi di coppa persa a Siviglia 2-1, una possibile chiave di lettura del suo esonero da allenatore del Leicester.
Abbiamo passato mesi a sentire dire sempre la stessa cosa: che quella del Leicester è una favola. Non tutti però si sono arresi a questa visione, la solita visione alla quale amiamo abbandonarci, quella che vuole il calcio come una cosa romantica a tutti i costi: quella stessa visione, per intenderci, che ci fa credere di avere nostalgia di quando c’era Fabian Valtolina, oche ci ha sempre convinti che pur non avendo vinto granché in carriera Zdenek Zeman sia comunque un maestro di calcio.
Una visione nella quale sguazziamo volentieri e che i giornali non fanno altro che cavalcare. D’altronde, la storia del Leicester ci è stata servita su un piatto d’argento: una squadra piccola, senza dunque un grande palmares ma con tifosi affezionati, un tecnico italiano esperto ma poco vincente che trova il riscatto, le grandi corazzate inglesi piegate senza pietà. Ci siamo fatti piacevolmente annebbiare la vista dalla classe operaia che va in paradiso, dal miracolo anticapitalista della piccola contro i ricchi club come United o Chelsea.
Sarebbe però bastato uscire da questa “bolla”, la bolla della favola Leicester, per capirne un po’ di più. Certo, nessuno mette in dubbio il grande risultato: il problema è come viene letto, interpretato. Abbiamo preferito la visione romantica, anziché notare come la proprietà asiatica del club avesse già fatto ampi proclami di spesa e di vittorie. Ci siamo girato dall’altra parte, quando il bilancio del club ha fatto emergere metodi poco chiari per sviare le maglie del Fair Play Finanziario della Football League, che fa scattare sanzioni ai club che sforano il limite degli 8 milioni di sterline di perdite annue.
Insomma, la favola ci è piaciuta, ma ieri sera ci è scoppiata tra le mani come un petardo. Ranieri out, per una posizione di classifica che in Premier sta diventando pericolosa: il Leicester può entrare nella storia come club campione a retrocedere l’anno successivo. C’è un prestigio da difendere, che nel calcio significano soldi: meno dai diritti tv e dagli sponsor, anche se la partecipazione dalla Champions può limitare i danni in campo economico.
Ecco, la Champions, come dicevamo all’inizio, è una chiave di volta. Troppo facile dire che Ranieri doveva dimettersi da campione. Certo, a vederla ora la questione si è legittimati a pensare che l’allenatore si sarebbe dovuto dimettere da campione, per la troppa grazia ricevuta dopo una carriera poco vincente. Ma Ranieri ha voluto giocarla, la Champions: si è voluto godere il viaggio-premio, onorandola e interprentandola meglio del campionato. Ma questa non era la visione del club. Alla proprietà non interessa avere alcuna riconoscenza verso il tecnico. Alla proprietà non interessa portare avanti la favola: quale programmazione ha messo in atto, per cercare di restare al top? Alla proprietà interessa incamerare denaro, produrre ricavi e plusvalenze: altrimenti, non avrebbe venduto Kantè al Chelsea, o si sarebbe mostrata disponibile a fare altrettanto con Vardy all’Arsenal. L’attaccante operaio e Mahrez se andranno comunque, il Leicester avrà un bilancio in utile e Ranieri sarà comunque campione per sempre. E soprattutto, l’unico vero romantico di tutta questa vicenda.