Il ModernoLa vergogna di Jacques Derrida

Oggi avrei voluto parlare di un autore molto importante, almeno per me. Chi è? Senza fretta, presto lo scoprirete. Un amico mi ha fatto leggere un bel volume curato da Antonio Pieretti (Il tramonto...

Oggi avrei voluto parlare di un autore molto importante, almeno per me. Chi è? Senza fretta, presto lo scoprirete. Un amico mi ha fatto leggere un bel volume curato da Antonio Pieretti (Il tramonto dell’umano? La sfida delle nuove tecnologie, Morlacchi, pp. 278), e quindi mi trovo piacevolmente costretto a parlarne. Anzi no, ho cambiato idea. Leggetevelo! Prendo solo spunto dal titolo stuzzicante e in parte dalle suggestive riflessioni di Andrea Tortoreto – l’amico di cui vi parlavo, nonché uno dei protagonisti del libro – per provare a balbettare una ingenua risposta alla domanda di partenza. L’uomo è al tramonto?

L’uomo tramonta quando non interroga più se stesso e gli altri, quando dà ragione a una comunità stanca e depressa, quando decide che sia la contingenza a decidere, quando non ne vuole sapere delle inquietudini del «lui» e lascia che sia il chiasso della folla a decretare la vittoria dei nuovi Barabba.

Fabrice Hadjadj distingue in modo penetrante la novità dalla innovazione. La prima investe me, il mio percorso di crescita o decrescita e reinventa con linguaggio inedito il bisogno prezioso di ogni biografia; la seconda, l’innovazione, è al contrario la novità del superfluo, ospita i repentini cambiamenti di oggetti cosali, è quell’aggiunta insignificante che non brucia nell’animo, non trasmette pathos, non la si ricorda fra un’ora. Mi pare evidente che l’innovazione tocchi le corde della tecnologia imperante, ed è quest’ultima a guastare l’eterno nell’uomo, o forse a segnare la data del suo tramonto.

Andrea, che prima menzionavo, vede nella tecnologia una sfida culturale che potrebbe consentire l’immissione dell’alterità nella dimensione ripulita dell’uomo. Non credo. Però faccio mia la rilettura che propone di Jacques Derrida e del suo gatto guardone. Per chi non lo sapesse, in L’animale che dunque sono, il grande filosofo francese ricorda la «vergogna» che ebbe quando il suo gatto lo osservò nudo sotto la doccia. Questo senso del pudore di fronte a un occhio apparentemente innocuo ci invita a preservare un elemento di sobrietà, ad avvertire l’altro dell’altro e farlo nostro, è un’esperienza che annuncia la più estrema e meravigliosa diversità nel qui, non nel post-umano che, annoiato, si diverte magari a lanciare pietre ai gattini. Alla prossima.