Quando arrivai a Londra nel 1988, mi sentii un piccolo astronauta sulla luna. Per un adolescente della mia generazione mettere il piede oltre la Manica fu davvero una grande conquista e la capitale del Regno Unito condizionò vita e scelte future, oltrepassando gli stereotipi della “vacanza studio” data in pasto ai coetanei radical-chic.
Nelle estati successive Londra diventò per tanti di noi capitale europea, missando i contrasti tra l’aplomb del potere di Westminster e il folclore monarchico di Buckingam Palace, tra il passaggio dal thatcherismo al blairismo domiciliato al numero 10 di Downing Street e le vecchie glorie della Fashion London di Carnaby Street, prima che lo sfrenato flusso di massa del turismo lowcost facesse di Piccadilly e Covent Garden la giostra circense di un weekend lungo da leoni.
A Londra noi teenager di allora vedemmo a distanza ravvicinata la multietnicità che non si limitava alla convivenza di gusti di un piatto di fish & chips, kebab o un’insalata greca. Fu l’illuminazione per aver trovato l’enclave della multiculturalità dove potevamo convivere noi italiani, greci, indiani, pachistani, turchi e tante altre etnie con la lucida consapevolezza che ciascuno avrebbe trovato il proprio spazio, fosse a Candem Town, Oxford Street o Ealing Broadway.
Dopo il Royal Assent della Regina Elisabetta, oggi 29 marzo la premier Theresa May attiva l’articolo 50 del Trattato di Lisbona per avviare il divorzio della Gran Bretagna dall’Unione Europea. La Londra della Brexit ci fa sentire tutti improvvisamente “stranieri” e non solo per la burocrazia che ci rema contro nella quotidianità.
Amici in comune mi hanno raccontato di recenti atti di razzismo a scuola nei confronti di figli di immigrati del Vecchio Continente, ovvero greci, polacchi e italiani che risiedono nei sobborghi londinesi da tanti anni. Questa è la stessa Londra per cui la mia generazione traslocò per studio o per lavoro? Che ne sarà degli oltre 600 mila italiani residenti nel Paese?
Le rughe di Londra mostrano la fragilità di un Paese e di chi lo governa, soprattutto dopo i graffi dell’attentato di Westminster del 22 marzo scorso. La rivelazione del fantomatico piano per la morte della regina, “London Bridge is down”, sembra l’ennesima beffa dopo che Scotland Yard si è fatta mettere nel sacco dal fanatismo del Califfato per mano di un ex insegnante d’inglese nato nel Kent e radicalizzato in Arabia Saudita. Diciamo pure addio agli 007 alla James Bond, ricordo sbiadito della letteratura di Ian Fleming.
Tutto pronto per la morte di Sua Maestà e scricchiolano le misure di sicurezza per mettere in salvo la premier May in fuga dal Parlamento assediato?
Il buio è il nostro nemico e il cielo si è oscurato su Londra. Chissà se in futuro basterà avere in mano il passaporto al posto della carta di identità per far sentire anche noi italiani ospiti indesiderati.