Si spegne la polemica sulle norme approvate dal Governo lo scorso 13 aprile che, intervenendo sul Codice degli appalti, avrebbero depotenziato le funzioni dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione guidata da Cantone. I maggiori quotidiani si sono esercitati sulla dimensione tutta politica della vicenda, cercando di identificare la “manina” che avrebbe sbianchettato il famigerato articolo 211 del Codice e gli eventuali mandanti. Aldilà della dietrologia da intrigo di Palazzo, tuttavia, il solo Luigi Ferrarella sul Corsera sembra aver colto un altro e non meno importante aspetto della questione, che attiene alla formazione delle norme e alla trasparenza del procedimento. È noto, infatti, che i testi approvati dai Governi non siano immediatamente disponibili, per svariati motivi ma sostanzialmente riconducibili alla formazione “in divenire” dei testi che, molto spesso, vengono approvati con la formula “salvo intese”. Ciò sta a significare che sono in corso ulteriori approfondimenti di natura tecnica che spostano in avanti la chiusura formale del testo. La vicenda ANAC ha, da questo punto di vista, scatenato la caccia al colpevole: un qualche ministro birichino o il solito, onnipotente burocrate? Partiamo intanto da un tema più generale, che è opportuno tenere presente: il boccino della legislazione è ormai in gran parte passato al Governo, in Italia come negli altri Paesi europei. Tra decreti-legge e decreti legislativi, questi ultimi basati su una delega del Parlamento, le Camere hanno in gran parte abdicato alla funzione che la Costituzione riserva loro all’articolo 70: alta complessità delle materie da normare, necessità – spesso ingigantita – di interventi in tempi rapidi e una ormai acclarata ipertrofia legislativa, da tutti denunciata ma assai praticata, sono alcuni dei motivi che hanno condotto ad uno stato di fatto su cui è oggettivamente molto difficile intervenire. Se a questo si aggiunge poi l’annoso problema della leggibilità degli atti legislativi, inversamente proporzionale alla natura tecnica degli stessi, il quadro non appare roseo. L’attività legislativa dell’Esecutivo poggia, ovviamente, sul lavoro dei tecnici e degli uffici legislativi dei ministeri, chiamati a dar corpo a input politico-parlamentari spesso in tempi assai brevi, con scambi vorticosi per e-mail dei testi destinati all’approvazione. Una modalità turbo, tanto da domandarsi attoniti come si lavorasse con altrettanta rapidità eoni fa, in assenza di computer e posta elettronica. Insomma, se questo è il contesto con cui, piaccia o non piaccia, si ha a che fare, non solo appare di poco interesse la ricerca della manina e del colpevole, ma diventa assai complicato costruire la tracciabilità delle norme che Ferrarella correttamente auspica. E, d’altronde, l’interlocuzione anche convulsa fra ministri e ministeri sta nelle cose e attiene alla necessaria libertà d’azione che pertiene ad una normazione complessa. Se appare difficile invertire la rotta in tempi brevi, esiste però, come sostenuto da molti osservatori a più riprese, una medicina efficace: il Consiglio dei Ministri approvi testi che, sia in sede di prima approvazione che in forma definitiva, siano resi disponibili a tutti in rete, in maniera trasparente. Raggiungere l’obiettivo comporterebbe, a ritroso, un lavorìo non da poco: come ha evidenziato Luigi Oliveri, “si procederebbe più a rilento, con maggiore fatica” e, tuttavia, “con quella ponderazione necessaria ad adottare atti redatti in modo completo, basati su valutazioni di impatto ben realizzate”. In parole povere meno norme, più chiare e per tutti. Roba forte, ragazzi.
23 Aprile 2017