Viva la FifaSe c’era Bielsa

L’arrivo della Lazio in finale di Coppa Italia è una buona notizia anche per chi laziale non è (romanisti a parte, chiaro). L’arrivo della Lazio in finale di Coppa Italia ci sta risparmiando chilom...

L’arrivo della Lazio in finale di Coppa Italia è una buona notizia anche per chi laziale non è (romanisti a parte, chiaro). L’arrivo della Lazio in finale di Coppa Italia ci sta risparmiando chilometri e chilometri di long read su Bielsa.

Già, “se c’era Bielsa” (scritto volutamente così). Stamattina non lo sta pensando nessuno, temo. Perché Simone Inzaghi si è pienamente ripreso ciò che era suo già da un anno. Nell’aprile del 2016, l’ex attaccante era stato chiamato sulla panchina della prima squadra dopo un più che onorevole curriculum maturato nelle giovanili biancocelesti. Promosso in Primavera nel 2014 dopo aver guidato Allievi Regionali Nazionali, Simone Inzaghi ha vinto la Coppa Italia di categoria: un torneo che la Lazio non vinceva da più di 30 anni e che viene accompagnato dalla Supercoppa Italiana Primavera. La Coppa Italia viene rivinta l’anno dopo, nel 2015, nella doppia finale derby contro la Roma, mentre perde la finale di campionato ai rigori contro il Torino. Non male. Tanto che Lotito un anno fa lo chiama in prima squadra per sostituire l’esonerato Pioli. Non riesce a portare la squadra in Europa con l’ottavo posto finale, ma dimostra di avere potenzialità. Tanto che lo stesso Lotito deve di nuovo riaffidarsi a lui, quando Bielsa se ne va sbattendo la porta da Formello.

Meno male, si diceva. Perché già solo un mese di ritiro estivo di Bielsa avrebbe acceso gli animi di tutti quelli che considerano El Loco un genio del pallone. Mentre forse il dubbio è che sia solo Loco, pazzo. Certo la riprova non ce l’abbiamo, ma i pochi trofei vinti in carriera possono dirla lunga su un allenatore che spesso e volentieri ha lavorato su sé stesso, mettendo il personaggio-Bielsa davanti a tutti: è anche così che si trova lavoro, in fondo. E in tanti ci sarebbero cascati, con infiniti pezzi di analisi che mischiano intuizioni tattiche sviscerate al centimetro e comportamenti stravaganti – le arrampicate sugli alberi per seguire gli allenamenti, il cileno conosciuto in un supermercato e assunto come traduttore al Marsiglia – spacciate per genialità assoluta.

Simone Inzaghi è tutt’altro. Già uno che riesce a vincere 2-0 un derby con Lukaku titolare meriterebbe una cattedra a Coverciano. In 30 partite di campionato, Inzaghi ha colto 18 vittorie, 6 pareggi e altrettante sconfitte grazie ad un calcio pratico che esalta i singoli: quando ad esempio hai uno come Immobile già capace di vincere la classifica cannonieri con il Torino e in cerca di rilancio, non hai bisogno di cercare di cambiare la storia del calcio con chissà quali soluzioni ardite. Inzaghi è un normalizzatore nel senso più positivo del termine. E oggi è in piena corsa per l’Europa, nonostante la partenza di un uomo-chiave come Candreva: come al solito, Lotito ha puntato su un mercato bilanciato (il saldo tra entrate è uscite quest’anno è di -5 milioni di euro), ritrovandosi ad affidare a un tecnico abituato a lavorare con i giovani il promettente Milinkovic-Savic (due gol nei derby di Coppa Italia), pagato ben 10 milioni di euro nel 2015 e già in grado di generare plusvalenza in caso di cessione.

Insomma, la “normalità” ogni tanto piace. E siamo qui a raccontarla, in poche righe.

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