Ricordo che in un convegno parigino di due anni fa ebbi modo di soffermarmi su di lui. Fu la prima e l’ultima volta. Non troverete neppure un mio pezzo che lo riguardi. Perciò potete solo intuire quella strana sensazione che mi sta accompagnando: brividi di entusiasmo e puntini di angoscia litigano fra di loro in attesa di un inizio accettabile. Dopo alcuni studi a dir poco noiosi, sguardi qua e là sui cosiddetti «filosofi matematici», vivo la mia pausa riassaporando frasi e concetti del grande pensatore francese Emmanuel Lévinas, nato nel 1906 e morto nel 1995.
L’autore di Totalité et Infini ha lanciato una forte accusa alla tradizione filosofica occidentale. Da Parmenide a Heidegger ha prevalso l’ontologia, il «Medesimo», una Totalità che ripete se stessa. E l’altra storia? Il tempo vero? La nuova esperienza che mette in discussione ogni cosa? Gli occhi, la faccia, e persino il corpo nudo del «lui»? Ecco un pronome che lo imbarazza. Il «lui», per Lévinas, è il segreto che non può essere svelato, l’irriducibile, il noumeno, l’autentico, la metafisica. Il «lui» è l’evento che non posso manipolare, manovrare, eccepire, violentare, deridere.
Anche in amore, dice il filosofo francese, non si può istituire l’unità. Non esiste la «dolce metà», in quanto l’altro non mi completa, né io completo la mia compagna. Si è sempre in due. C’è il tempo dell’altro, vige la poetica del suono che spezza l’ora degli egoismi. L’amore è l’istante della responsabilità che non chiede. Si è oltre la trama della giustizia e dell’universalità dal respiro cosmopolita. Per Lévinas conti tu, conta solo il lui, e l’io si accomoda in seconda fila, dipingendo lo spazio che consente all’alterità di parlare, di sognare, di raccontare se stessa.
Sono tre le dimensioni da non trascurare: l’il y a, la soggettività e il volto. L’il y a è l’esistenza morta, il dato insignificante, la consuetudine, la folla, una cronaca senza pathos, il «sempre accaduto». La soggettività, invece, è l’esistente, ciò che prende piede, magari l’interiorizzazione, il nuovo tempo, l’io, la prima possibilità di rompere con il «Medesimo». Solo che per Lévinas non può bastare. Non è sufficiente quel che accade dentro di me, la mia avventura e neppure l’avventura che il mio «io» vive con l’altro. La verità più vera è depositata nella terza dimensione, nel «volto». Il volto nudo è l’ultimo approdo di una vita degna di essere vissuta. Il volto è il mio cammino, e nel camminare cedo alle tue sfumature, smetto nel mio dire e vengo meravigliosamente «detto» dalle tue labbra, dal tuo sorriso, dai tuoi giudizi, dalla tua biografia.
Non significa piegarsi al dominio altrui. Al contrario, è proprio il potenziale carnefice che deve sfuggire alla seconda dimensione (l’imperialismo dell’io) e sentire l’ultimo stadio. Tocca, in altre parole, all’io bianco, occidentale, al pater familias islamico regalare un attimo infinito di umana comprensione. Far parlare il volto. Tocca a me scordare i miei impegni, le mie ansie, e finire nel tuo silenzio.
Questi contenuti, oggi, non hanno alcun senso. La terza sfera tarda ad arrivare. Le persone, nel buio del postmoderno, divengono semplici attori intrappolati nell’il y a, mentre l’io prova a sperimentare il suo potere divorando la magia del rendez-vous. Il segreto del volto nudo viene catturato con l’inganno. E il buon lettore, al pari di chi scrive, fra due minuti tornerà ai suoi affari.