Alcune importanti organizzazioni – prime tra tutte la Coldiretti e la Cgil – esprimono in questi giorni parecchie perplessità sul CETA. Come i lettori de Linkiesta sanno, si tratta dell’accordo di libero scambio stipulato tra l’Unione Europea e il Canada e da poco approvato in Commissione Affari Esteri del Senato da una ‘strana’ coalizione europeista Pd-Fi e contrastata da una coalizione sovranista che va dalla Lega al M5S.
CETA: la protesta di alcune organizzazioni
Proprio oggi, di fronte a Palazzo Montecitorio, si è svolta la protesta dei movimenti #StopCETA con una partecipazione trasversale di rappresentanti di diverse forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione. Molte le preoccupazioni relative all’ingresso di beni contraffatti o di scarsa qualità in Italia, tanta paura che le dop italiane possano perdere ogni tutela, timore per una depressione degli spazi di mercato delle imprese agricole italiane. Ma è proprio così? E il fronte protezionista contrario all’accordo è davvero unanime?
Pare proprio di no. In realtà, infatti, molte realtà associative non hanno aderito alla protesta. In più, il coordinamento Agrinsieme, composto da Cia, Confagricoltura e Copagri, ha viceversa promosso l’accordo. Le organizzazioni citate, infatti, non ritengono che l’UE abbia ceduto, per esempio, sulle regole di sicurezza alimentare e di protezione del made in Italy. Il CETA – qualcuno lo dice finalmente – rappresenta una opportunità.
Per l’agroalimentare si spalancano grandi opportunità commerciali
Secondo Giorgio Mercuri di Agrinsieme, che rappresenta oltre i 2/3 delle aziende agricole operanti nel Paese, il 60% del valore della produzione agricola e più del 30% del valore dell’agroalimentare italiano, “l’accordo di libero scambio tra l’Europa e il Canada spalanca reali e interessanti opportunità commerciali alle aziende italiane che operano nell’agroalimentare e consente a migliaia di produttori di latte, vino, ortofrutta, olio ed altre eccellenze di riuscire, attraverso cooperative e strutture aggregate, a creare un importante valore aggiunto alle loro produzioni proprio grazie alle vendite sul mercato canadese”.
“Con il calo dei consumi interni – spiega Mercuri – l’apertura di nuovi mercati rappresenta una priorità imprescindibile per l’agroalimentare italiano. È impensabile difendere la nostra agricoltura arroccandoci nei nostri confini nazionali o europei, con posizioni di chiusura o di protezionismo. Le nostre aziende fanno reddito anche e soprattutto quando riescono a commercializzare le proprie eccellenze in paesi che hanno un numero di abitanti in continua crescita (Cina e sud est asiatico) o un grande potere di acquisto, come appunto il Canada, paese che vanta uno dei più alti redditi pro capite al mondo”.
La sicurezza alimentare è salva
“L’accordo che l’Europa ha siglato, dopo ben sette anni di negoziato, non ha visto alcun cedimento da parte dell’Unione Europea sulle nostre regole di sicurezza alimentare”, precisa Mercuri. “È assolutamente infondato pensare che, all’indomani dell’entrata in vigore dell’accordo, nel nostro paese potranno essere commercializzati alimenti come la carne agli ormoni o prodotti con organismi geneticamente modificati“.
Analizzando poi i singoli comparti, va sottolineato che per il vino italiano, presente sul mercato canadese al pari di quello francese e quello americano, è prevista l’eliminazione completa delle tariffe, la tutela di tutte le nostre denominazioni e un generale miglioramento delle attuali condizioni esistenti.
Tutela delle denominazioni e crescita delle vendite
Per il settore lattiero-caseario, già oggi l’Italia è al primo posto per le esportazioni in Canada e con il Ceta può arrivare a raddoppiare le proprie vendite. Non solo, ben 11 formaggi Dop – Provolone Valpadana, Taleggio, Asiago, Fontina, Gorgonzola, Grana Padano, Mozzarella di Bufala campana, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Pecorino Sardo e Pecorino Toscano – hanno ottenuto dall’accordo una tutela che prima (e fuori) dell’accordo non potrebbe esistere”.
Per quanto riguarda poi le importazioni del grano, uno dei temi che sta creando più allarmismi in questi giorni, “vorremmo in primo luogo precisare – chiarisce Mercuri – che i dazi alle importazioni di grano duro dal Canada sono stati eliminati più di 30 anni fa. L’entrata in vigore del trattato non muta di fatto nulla rispetto alle condizioni di ingresso di tale commodity nel nostro paese. È evidente che, sia per le importazioni di grano come di tutti gli altri prodotti agroalimentari provenienti dal Canada, siamo sicuri che verrà prestata la massima attenzione da parte degli organi di controllo proposti dallo Stato, al rispetto degli standard qualitativi e dei processi di lavorazione al fine di garantire la massima reciprocità. Non abbiamo motivi di pensare che le nostre istituzioni non mantengano quale obiettivo imprescindibile la salvaguardia delle produzioni agricole e agroalimentari made in Italy”.
La libertà del mercato è un valore per la qualità italiana
Insomma, a fronte dei soliti eccessivi allarmi protezionistici, c’è anche chi, con fiducia, guarda alle opportunità dei mercati globali. Niente paura, quindi: ancora una volta il libero scambio può rappresentare il fondamento per il successo della qualità italiana.