Sono ormai diversi i libri a fumetti che raccontano la travagliata storia recente del Medio Oriente. Molti di quelli pubblicati (o tradotti) in italiano negli ultimi dieci anni sono anche da collezionare. Perchè il fumetto è un’arte completa, che fa cultura, come qualcuno ha già scritto su questa testata.
Fra gli autori tradotti in italiano ci sono innanzitutto una superstar come Joe Sacco (statunitense, ma nato a Malta nel 1960), con Palestina (Mondadori, 2006, traduzione di Daniele Brolli) e Gaza 1956. Note a margine (Mondadori, 2010, traduzione di Daniele Brolli). Un tratto schietto, il suo (ispirato a quello di R. Crumb e della cultura underground americana degli anni ‘60), capace di mettere da parte lo stile caricaturale per dar vita ad immagini potenti e drammatiche. I corpi ammassati di una strage compiuta nel 1956, di cui si parla appena in un rapporto ONU, oppure le case distrutte dall’esercito israeliano, riempiono tavole grandi, ricche di dettagli, in Gaza 1956, un reportage realizzato con il rigore del giornalista, nonostante i limiti di sintesi della rappresentazione grafica.
Efficace è anche un altro autore ben noto al pubblico (non solo del fumetto indie) italiano: Zerocalcare (classe 1983). Il suo Kobane Calling (BAO Publishing, 2016) è un reportage in forma grafica di una serie di viaggi che il fumettista di Arezzo ha compiuto tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 al confine tra la Turchia e la Siria, all’interno del progetto “Rojava calling”, una staffetta di solidarietà per il popolo curdo impegnato nella battaglia contro l’Isis. In una specie di new wave del fumetto indipendente – alimentato da un massiccio uso dei mezzi di autopubblicazione su Internet – si inserisce anche Fedele alla linea (BeccoGiallo Edizioni, 2017) del disegnatore e attivista visivo Gianluca Costantini (classe 1971) e il suo graphic journalism, che spazia dal breve racconto alla vignetta di commento su argomenti nazionali e internazionali.
A conoscere Gerusalemme ci porta invece il franco-canadese Guy Delisle (classe 1966) con il suo Cronache di Gerusalemme (Rizzoli Lizard, 2012. Traduzione di Francesca Martucci e Andrea Merico), fumetto anche questo autobiografico premiato al Festival di Angoulême. Dopo averci sorpreso con una graphic novel ispirata ad un soggiorno in Birmania, intitolata Cronache birmane, Delisle (che si occupa anche di animazione) riprende in mano i fili della sua autobiografia a fumetti e si trasferisce per un anno a Gerusalemme (tra il 2008/2009), dove vive negli alloggi di Medici senza frontiere, organizzazione per cui lavora la moglie. Qui capisce subito di trovarsi all’interno di una città fortemente segnato dal conflitto Israelo-Palestinese. Il suo è un racconto minimalista per immagini, in cui il mestiere di padre, la geopolitica, e le piccole storie di tutti si intrecciano con un uso sapiente dell’ironia.
Il primo a portarci con un disegno nel terra araba, pero’, è stato forse il vignettista palestinese Naji Salim Hussein al-Ali (assassinato a Londra nel 1987 dove lavorava per il giornale kuwaitiano Al Qabas), con il personaggio di Handala. E’ un bambino scalzo, con i capelli dritti in testa e il vestito rattoppato, che, disegnato sempre di spalle, rappresenta il testimone della politica satirizzata nelle vignette dell’autore (nato nel villaggio di Al-Shajara, nel 1938) che da bambino fu costretto all’esilio. Si è trasformato in un’icona, non solo per il popolo palestinese (a lui è dedicato il sito Handala.org). Da noi alcune delle sue vignette in bianco e nero sono raccolte in Filastin. L’arte di resistenza del vignettista palestinese Naji al-Ali (Eris editore, 2013) pubblicato in Italia con la prefazione di Vauro Senesi.
Le memorie di una bambina sono l’espediente narrativo scelto da Zeina Abirached per raccontare Beirut negli anni Ottanta, quelli della guerra civile (1975-1990). Illustratrice e autrice, nata proprio a Beirut nel 1981 (e poi trasferitasi a Parigi), Abirached racconta la sua, d’infanzia, sotto le bombe, in due volumi intitolati rispettivamente Il gioco delle rondini. Morire, partire, tornare (BeccoGiallo Edizioni , 2009, traduzione di Stefano Andrea Cresti) e Mi ricordo Beirut (BeccoGiallo Edizioni, 2010, traduzione di Stefano Andrea Cresti). Le sue graphic novel sono state a volte frettolosamente paragonate a quelle dell’iraniana Marjane Satrapi, l’autrice delle immagini e dei testi di Persepolis (edizione integrale uscita per la prima volta in un unico volume nel 2007, con Rizzoli Lizard), il fumetto storico-autobiografico in cui si racconta soprattutto l’Iran, dell’evoluzione e dei mutamenti che questo Paese ha subìto in seguito alla rivoluzione islamica. Come Satrapi, anche Abirached aggredisce la pagina con macchie di colore nero. Ma nel caso di Abirached l’inchiostro riproduce un tratto morbido, fluido, liquido (come ha scritto Serenella Di Marco su Fumetto e animazione in Medio Oriente, della casa editrice Tunué, pubblicato nel 2011). I contorni si ritraggono in spirali audaci (i capelli ricci della giovane Abirached, per esempio) che forse si ispirano ad una eredità visiva mediorientale, ricca di rilievi e pitture che rappresentano una vegetazione lussureggiante (dai portoni decorati in ferro battuto agli interni delle moschee). Della stessa autrice è uscito in italiano quest’anno anche Il Piano Orientale (BAO Publishing).
Ma Beirut non vive solo nel ricordo della guerra civile, durante la quale molti giovani autori contemporanei sono nati. In italiano è pubblicata anche la libanese Maya Zankoul (nata nel 1986), con due volumi: il primo – che ha autoprodotto – è Amalgam 1 (il Sirente, 2011. Traduzione di Chiara Campanelli), seguito da Amalgam 2 (il Sirente, 2012. Traduzione di Chiara Campanelli). Qui lo stile è diverso: si tratta di due volumetti ispirati al suo popolare webcomic blog (http://mayazankoul.com) in cui Zankoul – che è cresciuta a Jeddah in Arabia Saudita, e nel 2011 ha aperto un suo studio di grafica e poi è diventata una personalità televisiva – utilizza lo stile minimalista delle vignette dei quotidiani, che poi arricchisce di humor e sarcasmo. In Amalgam parla liberamente di corruzione, maschilismo e disparità sociali.
Per cercare di capire due Paesi che oggi quasi non esistono piu’, dilaniati dalle violenze interne, ci sono invece le graphic novel di Riad Sattouf (1978) L’Arabo del futuro. Una giovinezza in Medio Oriente Vol. 1 (1978-1984) (Rizzoli-Lizard, 2015. Traduzione di E. Tramacere) e Vol. 2 (1984-1985) (Rizzoli Lizard, 2017). E’ un fumettista e apprezzato regista francese nato a Parigi da padre siriano e madre francese che ha anche collaborato con la rivista satirica Charlie Hebdo. Questi primi due volumi di una trilogia (il primo è stato premiato al Festival di Angoulême) raccontano l’infanzia dell’autore nella Libia del Generale Gheddafi e poi nella Siria di Hafiz al Asad. Fra censura, banalità del controllo di Stato, e razioni di cibo – da qui le accuse di essere anti-arabo, come ci ricorda Jonathan Guyer in un articolo del 2016 sulla rivista periodica Cairo Review -, Sattouf tratteggia le contraddizioni del processo storico che avrebbe dovuto portare alla nascita di forme democratiche di potere. Tanto che alla fine ci si domanda chi è l’arabo del presente (prima ancora di potersi immaginare quello del futuro). Di Sattouf sono state tradotte in italiano altre tre opere: l’autobiografico La mia circoncisione (Comma 22), Sex in New York (Lizard) e Pascal Brutal (Bao Publishing).
Ed infine l’egiziano Magdy El Shafee (nato nel 1972) ci porta negli anni subito precedenti alla Primavera araba, con una graphic novel: Metro (il Sirente, 2010. Traduzione di Ernesto Pagano). Un romanzo politico metropolitano pubblicato in arabo nel 2008 che racconta la storia di un giovane informatico che rapina una banca con l’aiuto di un politico. A ridosso dell’uscita in Egitto, autore ed editore (l’indipendente Mohamed Sharqawi) finirono nei guai; censurati ufficialmente per alcune immagini considerate pornografiche. In Metro, El Shafee ci riporta agli avvenimenti di quegli anni, cadenzati dalle fermate della metro che portano il nome dei presidenti egiziani: Nasser, Sadat, Mubarak. Oggi Magdy El Shafee è uno dei co-fondatori di Cairo Comix, festival internazionale del fumetto che dal 2015 si svolge ogni anno al Cairo.