Rock MarketingPuò la “Psicologia della Vendita” trasformare un “venditore mediocre” in un “venditore ricco” nel 2017?

Il mondo è un campo di battaglia. Fin dalla prima infanzia, la vita mette l’uomo davanti ad una dura realtà: avere l’attenzione degli altri, in un ambiente competitivo, richiede delle azioni e mes...

Il mondo è un campo di battaglia.

Fin dalla prima infanzia, la vita mette l’uomo davanti ad una dura realtà: avere l’attenzione degli altri, in un ambiente competitivo, richiede delle azioni e messaggi più accattivanti rispetto alla concorrenza.

Questo è vero nella vita in generale, quanto in ambito prettamente professionale, soprattutto se si parla di venditori o imprenditori.

Qualche anno fa, forse, questo era meno vero di oggi. Nel dopoguerra, infatti, esistevano pochi mezzi di comunicazione e – in ambito commerciale – cominciavano ad aprire le prime grandi aziende.

I clienti che avevano bisogno di un prodotto non avevano tanta scelta, quindi ripiegavano sulle poche aziende esistenti, acquistando sulla fiducia e facendosi convincere abbastanza facilmente dalle parole di un venditore.

Oggi non funziona più così. La situazione si è normalizzata, e le persone hanno accesso con un click ad una marea di possibilità d’acquisto. Internet fa da concorrente principale a qualsiasi commerciante, senza contare quelli che aprono un negozio uguale a tre metri di distanza l’uno dall’altro.

La vita, per i venditori, non è più semplice come una volta. Oggi le persone sono più diffidenti, non ascoltano, si informano prima e non credono alle parole degli sconosciuti.

In un clima come questo, in Italia (bada bene che è un fenomeno tutto italiano, che non ritroviamo in nessun’altra parte del mondo), si è sviluppata una strana tendenza per la quale alcuni “motivational speaker” hanno fatto passare, grazie al marketing, il concetto che la PNL c’entri qualcosa con la vendita.

Per qualche motivo la gente si è convinta che queste tecniche di dubbia provenienza potessero essere la panacea di tutti i mali, e che avrebbero aiutato i venditori a superare il momento di “crisi”.

Ben presto, quindi, ci siamo ritrovati con un’Italia piena di reti vendita motivatissime, istruite perfettamente sui tecnicismi dei prodotti e su quanto fossero buoni, qualitativamente superiori e “migliori” rispetto ad una media indefinita. I venditori erano pronti e scattanti: difendevano la propria azienda e la presentavano come la migliore sul campo (salvo poi il fatto che tutti dicevano le stesse cose e ogni azienda era “leader di settore”, ma non si è mai capito bene secondo quale dato statistico).

Le trattative “tipo” sono state per anni (e ti assicuro che succede ancora oggi!) un exploit di “spiegoni” tecnici interessanti quanto una lezione di storia in sesta ora al liceo. Era tutto un “rispecchio”, “ancoraggi”, “forza d’attrazione” e attenti sguardi alla propria comunicazione non verbale, oltre a quella del cliente.

Qualsiasi gesto veniva visto come un segnale divino: se la persona guardava per sbaglio un po’ più su del solito veniva interpretato come segnale d’attenzione. In realtà si trattava solo di un tentativo estremo di restare sveglio, mentre il venditore continuava a raccontare di quanto innovativo e tecnologicamente avanzato fosse il nuovo modello di paramignoli americano.

Le riunioni motivazionali del lunedì mattina iniziavano e finivano sempre con un bel balletto, di quelli che davano proprio la carica e che, non si sa come, avrebbero dovuto far chiudere più vendite alla rete.

Ovviamente non mancava mai la lezione teorica di turno sulla nuova offerta da spiegare in trattativa, presentata come se fosse la cosa più figa e innovativa del mondo (anche se era perfettamente uguale a quelle del mese prima, e cambiava solo il nome).

Ora, capiamoci, la formazione tecnica e la motivazione servono. Ma sono cose che il venditore dovrebbe portarsi da casa, oppure approfondire per conto suo, per eccellere in abiti che con la vendita hanno davvero poco a che fare.

Quello che deve entrare nella testa della gente è che PNL e vendita sono due discipline che viaggiano in direzioni completamente diverse, tanto più che la prima viene sempre insegnata da persone che potrebbero avere mille capacità, ma non sono venditori di professione.

Il venditore, come insegno da molti anni a questa parte, dev’essere formato sulla base della vendita professionale e del marketing. Il marketing, infatti, ammorbidisce il cliente già prima che il venditore lo incontri; la chiusura della vendita – invece – viene messa a segno durante la trattativa.

Per gestire il processo di vendita non servono PNL e tecnicismi, ma solo un metodo scientifico che permette al professionista di guidare il cliente fino alla fine dell’“incontro” senza intoppi.

Sai che altro serve dentro una trattativa? Il genio ed il talento del venditore.

Mi dispiace dirti, però, che il “talento” non c’entra niente con le frivolezze “New Age” che trovi su internet (un ambito nel quale io non voglio addentrarmi e che non mi compete affatto). Le capacità umane sono al completo servizio della vendita professionale; servono infatti per far funzionare al meglio lo script di vendita che regola la tua trattativa e per sprigionare nel miglior modo possibile tutto il suo potenziale.

La verità è che esiste una “Psicologia della Vendita” e ne parlo spesso anche nel mio privato “Circolo degli Imprenditori”. E con essa intendo tutti quegli elementi psicologici e motivazionali della vendita che ogni imprenditore o libero professionista dovrebbero conoscere e controllare per padroneggiare al meglio la trattativa.

Se andiamo più a fondo nel concetto, troviamo delle basi prettamente psicologiche che devo presentarti per capirlo al meglio.

All’interno di una trattativa di vendita, la personalità del venditore è una delle risorse più preziose, ma non nel senso in cui lo intendono tutti i fantomatici professionisti che insegnano la PNL.

La personalità del venditore ha senso solo ed esclusivamente insieme all’utilizzo di sistemi, processi, script e questionari. Se infatti un venditore è incline ad improvvisare, invece che seguire un processo specifico per azioni e obiettivi specifici, sta cadendo in una trappola profonda e dalla quale farà fatica ad uscire.

Durante una trattativa non s’improvvisa niente. Non serve essere “creativi” e “parlare a braccio”. La creatività non serve per variare le parole, le domande o l’ordine delle domande nei vari strumenti di lavoro che utilizza un venditore.

La creatività non è modificare i bordi, i confini di uno script o una trattativa. Il cervello, il talento di un venditore è necessario nella “terra di mezzo” tra una domanda e l’altra, quando il cliente reagisce e non c’è uno script ad aiutarlo nel rispondere nella maniera corretta.

In questa fase della trattativa – tra un paletto e l’altro messo dallo script – serve tutto il talento possibile, tutte le qualità personali e creative di una persona.

Fondamentale quanto quella del venditore, anche la personalità del cliente è protagonista della trattativa.

All’ “interno” della personalità del cliente esistono alcuni “pulsanti sensibili” da mettere in leva per portarlo ad agire. Un pulsante attiva in modo positivo un certo tipo di personalità. Se viene schiacciato in un’altra si attiva comunque, ma in maniera negativa e addirittura offensiva.

La psicologia della personalità definisce il termine “personalità” come:

“Un’organizzazione di modi di essere, di conoscere e di agire (valuta quindi sentimenti, pensieri, comportamenti), caratterizzata da unità, coerenza, continuità, stabilità alle relazioni dell’individuo con l’ambiente esterno.

Ha sicuramente alcuni caratteri biologicamente determinati ma è possibile comprenderla meglio se la si considera come una costruzione attiva che si compie nel corso dello sviluppo attraverso continue interazione tra persona e ambiente.”

In termini più semplici si definisce “personalità” il “modo di essere” di una persona a livello emotivo, di comportamenti e di “come pensa”. ll suo sviluppo inizia con la nascita dell’individuo, si forgia nei primi anni di vita – grazie all’interazione con l’ambiente – e l’impronta di questo primo periodo influenzerà per sempre la sua esistenza.

La personalità di un individuo influenza qualsiasi scelta, anche quelle d’acquisto, e la maggior parte delle decisioni sono prese in maniera inconscia ed emotiva.

Il sistema decisionale delle persone non compra prodotti, desidera solamente o rimuovere un problema più o meno grande o grave; allontanarsi da ciò che la fa stare male, ed avvicinarsi verso qualcosa che la fa stare bene o meglio. Questo – a prescindere dal carattere dell’individuo – è ciò che rimane sempre stabile nel modo in cui si prende una scelta piuttosto che un’altra.

L’uomo decide in maniera rapidissima, e quando si pensa di ragionare su una certa decisione, in realtà, è già nella fase post decisionale, perché da che parte stare è stato già scelto. Anche se verrebbe da pensare che il processo logico entra in funzione prima della decisione vera e propria, in realtà, succede proprio il contrario.

Gli stimoli emotivi vengono colpiti – di proposito o per sbaglio – e si fa una scelta. Poi, dopo l’accaduto, (di solito meno di un secondo dopo) il cervello inventa rapidamente una “storia” per giustificare ciò che è stato appena fatto.

Gli scienziati che studiano questo genere di cose stanno cominciando a sospettare che mente cosciente opera in gran parte come “creatore di storie” che vengono costruite post-decisione.

Proprio perché l’uomo funziona in maniera prevalentemente istintiva, nel corso della sua storia evolutiva ha sviluppato diversi “tasti caldi”, anche chiamati “trigger”, che lo hanno aiutato a sopravvivere in un ambiente pericoloso e spietato.

Uno degli stimoli atavici che guidano le decisioni umane è quello dell’autorità. E’ uno stimolo forte, davanti al quale l’essere umano dimentica il pensiero critico, e fa solo quello che gli viene detto di fare. Questo è assolutamente potente, soprattutto se combinato con la “riprova sociale” da parte di un gruppo di pari.

Purtroppo, nella storia non mancano esempi in cui l’autorità – insieme alla riprova sociale – ha causato la morte di milioni di persone. E questa è una delle cose meno logiche che siano mai potute accadere, in quanto tutto ciò che di orribile è successo non è avvenuto su un piano razionale, bensì sulla risposta automatica dell’uomo al trigger “Autorità”.

Come tutti gli stimoli, per capire com’è nato, bisogna far riferimento alla vita degli uomini delle caverne. Ogni volta che un gruppo doveva andare a caccia, gli uomini primitivi avevano bisogno di essere organizzati. Il che significava aver bisogno di un leader.

Ecco perché gli esseri umani sono cablati per organizzarsi in gruppi composti da un leader e da alcuni seguaci.

Ma perché, effettivamente, lo stimolo autorità funziona con tutte le persone – anche le più dominanti?

Perché tutti siamo sia leader che seguaci, anche se preferiamo una condizione all’altra. Quando siamo in modalità “seguace”, e ci imbattiamo in qualsiasi tipo di figura autorevole (polizia, medico, celebrità), si passa facilmente nello stadio “segui l’autorità senza pensare”.

Un caso famoso che prova la potenza di questo trigger è l’esperimento di uno studioso, Stanley Milgram. All’interno dello studio sono state coinvolte due persone: una faceva la parte del ricercatore, l’altro della “cavia”.

Era una specie di test di memoria. C’era un altro soggetto coinvolto – che conosceva le finalità dell’esperimento – a cui il ricercatore avrebbe fatto delle domande, e se sbagliava, avrebbe ricevuto una scossa elettrica dalla cavia dell’esperimento.

Lo shock non era reale, ma lui faceva finta di essere dolorante. La cavia però pensava che le scosse fossero reali, e che l’altro soggetto stesse davvero soffrendo.

L’obiettivo dell’esperimento era quello di vedere quanti “shock” avrebbe somministrato la cavia al soggetto che fingeva.

E’ stato sconvolgente scoprire che la maggior parte delle persone hanno dato delle scosse che, se fossero state vere, sarebbero state sufficienti per uccidere una persona.

Ci sono stati anche alcuni casi – nell’esperimento originale (è stato ripetuto più volte) – in cui è stato simulato un attacco di cuore. Ma la cavia continuava a dare scosse.

Cosa hanno capito gli studiosi da tutto questo?

Che la presenza autorevole di un uomo in camice bianco è stata sufficiente per far dimenticare ad un essere umano evidenti rischi per la salute di qualcun altro.

Okay Frank, figata! Ma come posso usare tutta questa roba concretamente nel lavoro di tutti i giorni?”

Domanda intelligente. Ovviamente questi processi psicologici hanno un impatto fortissimo sulla tua attività come venditore.

Una delle prime cose che ho insegnato agli imprenditori del mio circolo, è che ognuno di loro ha la strada spianata se il cliente lo conosce prima di sedersi al tavolo di trattativa, o comunque ha sentito parlare di lui e magari lo considera un’autorità in un campo specifico.

Per un professionista, la percezione che il cliente ha di lui è fondamentale. Se nella mente dei tuoi clienti sei percepito come un’autorità, stai mille passi avanti alla concorrenza ancor prima di aver aperto bocca.

I processi decisionali, infatti, sono assolutamente influenzati dalla “forza del brand”.

La forza del brand, laddove è presente, fa tutta la differenza di questo mondo, perché descrive quanto forte è il posizionamento di uno specifico prodotto o servizio come leader nella testa dei clienti.

Più un brand è stabilizzato, più autorità ha nella testa dei clienti, più i clienti verranno attratti come un magnete dalla sua forza.

Quella del “Brand Positioning” è una legge universale del business alla quale ogni attività lucrativa è sottoposta. Non ci sono fatti. Tutto nella vita è “percezione”. E se nella mente di un target di persone, esiste un “prodotto migliore”, non importa se quest’ultimo lo sia davvero oppure no. Sarà molto difficile che questa percezione venga modificata.

Le persone sanno che l’energy drink migliore è Red Bull, naturalmente.

Il miglior caffè? Starbucks, ovviamente.

Il miglior smartphone? L’ iPhone, naturalmente.

Detto questo, in quei settori specifici niente ha più senso e nessun altro brand ha possibilità di imprimersi nella testa dei clienti come il più “autorevole” e il “migliore” del settore.

Se un libero professionista s’impone come autorità in una nicchia di mercato – e viene riconosciuto come tale prima della concorrenza – potrà usare la sua influenza per vendere qualcosa facendo leva esclusivamente sullo stimolo “autorità” e ne uscirà comunque vincitore.