Non aprite quelle porteLa bistrattata arte di andare al ristorante da soli

Stamattina la mia vicina ha avuto un sussulto quando ho buttato lì, mentre parlavamo del più e del meno, che a volte mangio al ristorante da sola. “Da sola?” mi ha detto quasi scandalizzata. “DA ...

Stamattina la mia vicina ha avuto un sussulto quando ho buttato lì, mentre parlavamo del più e del meno, che a volte mangio al ristorante da sola.

“Da sola?” mi ha detto quasi scandalizzata.

“DA SOLA?” ha ripetuto con un maiuscolo che ho percepito chiaramente. “Ma come fai?”

Non so… entro, saluto, aspetto che mi facciano accomodare, ordino e mangio, forse?

“Nooo, ma io non ce la farei mai”.

Non è la prima volta che qualcuno me lo dice; dovrei essere abituata, eppure mi stupisce sempre. Una volta addirittura un’amica mi ha detto: “Eh, ma poi pensano che sei una sfigata”.

Una sfigata.

Pare assurdo, ma siamo ancora qua a dare dello sfigato a uno che mangia tranquillo per i fatti suoi. Incredibile come il cuoco non mi abbia mai fatto portare un piatto di broccoli disposti in modo da formare la parola LOSER.

“Così sembra che ti abbiano dato buca” è un’altra osservazione che mi viene mossa. “Io non ce la farei a sopportare gli sguardi di commiserazione”.

Ma commiserazione de che?

Se sono al ristorante da sola l’unica commiserazione che mi sento di provare per me stessa è quando scopro di essere troppo piena per il dessert. Ma soprattutto, perché gli altri avventori dovrebbero buttare del tempo a pensare qualcosa di me? E anche se lo facessero, perché dovrebbe importarmi?

Non sporco, non urlo, non mi sbrodolo con la zuppa né emetto versi nel sorbirla, non puzzo, non cerco di attaccare bottone, non fisso le persone, non mordo né lecco le caviglie altrui, non faccio lo sgambetto ai camerieri per movimentare la serata.

“Sì, ma sei DA SOLA”.

E allora?

Da dove arriva questa reticenza verso i tavoli da uno? Se viaggio sola o se sono in giro sola o se semplicemente una sera non mi va di cucinare né di chiamare il delivery, cosa dovrei fare? Fermare qualcuno per strada per fingere di avere compagnia? Comprare una bambola gonfiabile, farla sedere di fronte a me e intavolare una dotta conversazione sul pensiero di Kant? Digiunare? Sarebbe meno da sfigati?

Ricordo ancora con precisione una serata con una conoscente in un ristorante in zona Brera. Poco lontano da noi una donna mangiava beata, ma questa conoscente a un certo punto mi ha chiesto: “Secondo te cosa le è successo?”

D’istinto ho guardato se avesse qualcosa tipo stampelle, ma niente.

“In che senso?” ho replicato.

“Sì, cosa le sarà successo? Dici che aspettava qualcuno? Che coraggio a rimanere, però. Io sarei andata via”.

Già, che coraggio. Infatti la prova finale di ogni corso di sopravvivenza che si rispetti è proprio questa: mangiare soli al ristorante e poi chiedere agli altri clienti cosa ne pensino. Se si sopravvive alle cazzate di certuni, è fatta.

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